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giovedì 19 aprile 2012

PRIMI SCRITTI ( LA PAGINA BIANCA)



Ho  sempre amato scrivere,ma un bel giorno decisi di  cambiare il mio rapporto con la scrittura: presi carta e penna  e iniziai a fidarmi e affidarmi alle parole . Avevo poco più di vent' anni.
Da allora non è più stato un hobby: scrivere per me è come amare, non potrò mai farne a meno!
Il mio primo lavoro naturalmente non poteva che parlare di una “ pagina bianca” e ... di una seduta dallo "strizzacervelli”!
Tutti iniziamo dall'autoanalisi.Dal guardarci dentro.

Provo tenerezza leggendo, presagivo incompiutezza e stagione fertile passata...eppure ero così giovane...giovane come invece mi sento ora, non essendolo più...davvero strana è la vita!



                                                               LA PAGINA BIANCA

(Questo è un giorno di fermata...
si sono svegliate le cose non fatte,
mi hanno chiesto perché mi sono fermata al bivio,
perché non ho preso una delle mille strade.
Mi hanno chiesto perché non le ho partorite.
La stagione della fertilità è finita...
se tu mi aiuti, partorirò almeno me stessa.)

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(studio di uno psicanalista, una donna si racconta..)

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La mia infanzia … è difficile scriverla sulla sua pagina bianca. E’ tutto così confuso … distante!
Nella mia mente ci sono solo frammenti, particolari d’immagini e sensazioni. Anche se tutti incredibilmente chiari.
Ma non c’è un legame ad unirli in una storia.
Ricordo un odore, un profumo buono di campagna... dolce … consolatorio! Ero proprio piccola allora!
Passavo il tempo a cogliere i fiori in mezzo ai prati: quanti ne coglievo!
Ma quella bimba mi sembra, ormai, così lontana!
Viveva dentro grandi spazi. Sua madre, quella vera, era la natura: la terra che toccava tutti i giorni con le mani, i vigneti, i canneti, i campi di grano, il vento tra i pini, tutte quelle erbe che conosceva così bene, pur senza saperne il nome.
Gli adulti li vedeva solo andare e venire.
Certe sere d’inverno, se avesse voluto, avrebbe potuto imparare le loro facce, studiarle per conoscerle meglio.
Ma non lo faceva.                                                                                                                                    Si lasciava prendere da quel sapore di pace e da quella certa mollezza che in  quei momenti regnava … e perdeva anche quella occasione.
Aveva conosciuto presto la solitudine, ma non le pesava.
Quasi mai qualcuno perdeva tempo per ascoltarla o giocare con lei, per questo aveva imparato a comunicare a piante e ad animali. mille mozioni mai tradotte in parole.
A volte pensava di provare gli stessi brividi che hanno le foglie mosse dal vento, di sapere cosa sente la spiga che seccandosi ingiallisce o il grappolo che matura.
Nessuno le poneva dei limiti, non doveva seguire una morale ….
Ora vorrei cullarla in braccio, se potessi … ma quella bimba mi sembra ormai … così lontana!
Meglio non fosse cresciuta.
Presto arrivarono le paure … le angosce.
Dottore, quelle so bene cosa sono, le riconosco … le conosco!
Cambiammo casa per trasferirci dalla campagna al “ paese” (una piccola frazione formata da una fila di case, qua e là lungo una strada bianca, sul dorso di una bella e sinuosa collina, con un piccolo genere alimentari, affacciata su una piccola piazzetta con al centro una croce di ferro e divisa in due da una chiesetta senza storia : la chiamavano Corea del sud e Corea del nord….c’è sempre un sud, anche in una strada!)
La nostra famiglia si fece piccola e mia madre e mio padre avevano più tempo per seguire le loro figlie e …” decisero” di occuparsi della nostra educazione.
Vollero insegnarci i valori della vita. Così ci strinsero dentro rigidi binari.
Con le nuove amichette cominciai pure ad andare in chiesa : lezioni di catechismo!
Scoprii allora che esisteva il prete e la sua religione che raccontava di castighi, comandamenti, diavoli con le corna e con le forche. Dell’Inferno!
Un Inferno troppo grande perché potessi gioire di quel Paradiso di cui mi parlava: così lontano, così per pochi!
Io cominciai a pensarmi cattiva. Non riuscivo a essere come mi si voleva.
Andavo crescendo ed ero curiosa della vita e … di me.
Di com’ero fatta, di quelle sensazioni nuove che andavo provando, di quella tenerezza che iniziavo a desiderare … così diversa da quella cercata fino allora.
Invece, ero circondata da un’atmosfera che bloccava ogni mia domanda, che ostacolava la mia curiosità.
Intuivo, dentro le loro mezze parole, un mondo ambiguo e sporco. Un mondo brutto, che non mi faceva piacere diventare grande.
Ma grande lo diventavo.
Invano cercavo di soffocare dentro di me quella parte che cresceva e consideravo sbagliata. Mi sentivo colpevole perché non riuscivo a essere come le bambole che vengono esposte i vetrina: bellissime, con occhi grandi e ingenui, un viso dolcissimo e … senza sesso.
Ecco ci siamo! Da questa parola tutto inizia.
Quanti ricordi, ora!
Se solo volessi scavare tra le pieghe della mia mente … quante tracce di sofferenze …. inutili!  Quanti fatti. e pensieri... negati … seppelliti!
Pure, davvero credo di aver avuto un’infanzia sana.
Povera … difficile.ma sana.
Se oggi , nonostante tutto mi porto dentro...questo bisogno di...giustizia...di onestà,
se ho voglia di fantasia … di bellezza, io devo ringraziare i miei genitori e la mia infanzia.
Allora … che cos’è mai quest’angoscia che ogni tanto mi prende? Questa insoddisfazione che non è disperazione, Ma desiderio di qualcosa d’altro, inafferrabile, sconosciuto ... che mi vuole, mi attira a sé?
Forse, non c’è infanzia felice che possa salvarci dall’infelicità del vivere.
Serve continuare dottore? Ricordare?
Guardi, le racconto, invece, un mio sogno. Mi piacciono i sogni, sono favole reali. Con noi sempre protagonisti.
Questo è recente, però sa di antico.
C’era una strada larga e lunga.
Sedute per terra, mille e mille persone, di età diversa, con visi differenti, ma ognuno ,a suo modo con una espressione dolorosa, tappezzavano la strada.
La riempivano a tal punto che ne coprivano tutto il selciato: non c’era neanche uno spazio vuoto.
Io ero una di quelle persone sedute per terra e avevo anch’io le gambe allungate, ma sapevo che, dall’alto, si poteva respirare un odore più o meno buono, secondo l’odore delle persone.
Questa consapevolezza rendeva il mio volto un po’ meno triste di quello degli altri.
Un giudice volò velocemente, sopra di noi. Senza fermarsi.
Poi  ripensandoci  tornò indietro. Mi  pulì una macchiolina di sangue che avevo su una gamba e se ne andò via, senza dire una parola.
Non le chiedo un’interpretazione … non servirebbe, perché … perché non verrò più in analisi.
Vede dottore …. la pagina che mi offre mi attira, però inizia a farmi paura. Il suo colore mi sta sembrando quello del vuoto.
Quante volte ho desiderato raccontarmi …. dire le mie angosce, le mie speranze, le mie fantasie a qualcuno che, come lei,   se ne stesse ad ascoltarmi...senza giudicare! Che m’accogliesse come … una pagina bianca!
Ma ora non voglio più.
Resteranno i miei mali? I conflitti non risolti?
Che vuoto ci sarebbe dentro di me, senza di loro!
Sa?...Mentre ero in sala di attesa ho ascoltato una ragazza. Raccontava che le piace molto dipingere, che trascorre le sue ore più belle a pennellare con mille sfumature tanti fogli di carta senza vita. Li riempie di figure, di fiori, di oggetti, di semplici macchie di colore.
Se resterà lei la pagina su cui scrivermi: che ne sarà delle mie figure, dei miei fiori...delle mie macchie di colore?







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