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mercoledì 18 aprile 2012

... continua (e con il cuore sento Carminella cantare)


e con il cuore sento Carminella cantare:


E Carminella cantava!
Carminella era, è mia madre.
E quando dico che è mia madre, vuol dire che non è quella conosciuta da ciascuna delle mie sorelle, da mio padre, da un parente..
Mia madre con me è stata unica, perché ognuno in un rapporto è unico.
Noi tutti ci modifichiamo relazionandoci, figurarsi una madre!
Quando era con me, lei appariva com’era solo a me.
E Carminella cantava !
Con il tremolio che ha la voce antica delle contadine……….e tra noi nasceva la complicità.
Il suo canto per me era altro che femminismo.
Era ribellione ironica, superamento dei confini che le avevano messo e dentro i quali ci era entrata da sola,senza apparente costrizioni.
Cantava, e allora tutti zitti: figlie, marito, il vicinato che la rispettava. (Quando cantava ancor di più.)
Il canto di Carminella è la mia energia. Il resto non conta. Non conta la sua fragilità, non contano i suoi sogni premonitori ( la sua chiaroveggenza faceva paura!), la sua salute fragile ( ah! Il suo cuore..e che altro poteva ammalarsi a mia madre?)
Se mi chiedessero di salvare un ricordo, questo salverei: il suo cantare.
Ed era pure un po’ stonata! Proprio come me.



La mia unica realtà è il mio cuore



Dentro le mura, a tratti,
urlano i sentimenti malati.
Scoppiano la rabbia e il dolore
della vita inattesa.
Inutilmente.
Perché, sapessi l’affetto
che comunque ci lega,
e quanta importanza
uno ha per l’altro,
dentro questa famiglia tormentata
e frantumata da taglienti niente!
Le vuote formule,
chiedono la predominanza,
e il respiro dell’amore,
vogliono diventi rantolo.
Pure sapessi l’affetto,
che non dovrei più dirti,
da quando ti ho ferita,
pensando di non avere scelta,
nella solitudine dell’ideale,
persa, ormai, da tempo!
E il tempo, che credevo inesistente,
è crudele nella sua dimostrazione:
Ieri c’è stato, e come ..
se tutti gli anelli sono legati,
inesorabilmente, uno dopo l’altro!
E vorrei, diversa la catena,
di fragili bolle fatta
e non di pesante metallo..
(anche fosse oro prezioso!)
Vorrei soffiarla via
e, di nuovo, ricominciare.
Perché, sapessi l’affetto,
che dentro le nostre stanze,
balla e canta, da sempre,
meravigliandosi, ogni volta,
di non essere guardato!
( da quadri-sapessi l’affetto- mdm)



E quel che conta è non farlo tacere mai.
  E che sia concesso anche alle Marike

 Marika attendeva il suo amore. Aveva meno di vent’anni e la vita davanti. Aspettava il suo amore al limite del giardinetto, sotto una magnifica palma . Era già buio . L’illuminava un lampione bluastro, freddo, come quel freddo che provava dentro.

Ma Marika aspettava il suo amore e aveva le lacrime negli occhi: sciocche lacrime gelate che non scendevano sulle guance, ma se ne stavano rassegnate dentro gli occhi rendendoli ancora più luminosi.

Marika aspettava il suo amore. Arrivò una macchina,il signore che la guidava somigliava a suo padre, le diede in anticipo cinquanta euro. Lei salì.

Sentiva il cuore come stretto in una morsa , le faceva male, mentre la macchina andava e lei … stava sempre … aspettando il suo amore.

La macchina procedeva : verso dove?-che importanza aveva?..non sarebbe stato mai il posto dove voleva lei. Lei non sarebbe mai arrivata in nessun posto. Lei era altrove, in un paese di mare, paese caldo e schietto, sincero. Lei camminava a piedi scalzi nell’acqua tiepida, con negli occhi il sole e quell’azzurro..quell’azzurro che le toglieva il fiato.

Era quella la vera Marika, non questa. Non una ragazzina sconsolata, con lacrime gelate negli occhi, tutta intirizzita, con le gambe nude nella gonna corta che bruciavano per il freddo.

-Abbi pietà di me !- Pensò. Ed era quasi una preghiera che rivolgeva in silenzio ad un uomo che non pareva cattivo . Normale, come tanti, come troppi che incontri per strada, quando vai per negozi e magari gli chiedi informazioni. Un "uomo dabbene”

La storia potrebbe pure finire qui.

Ma quel giorno era un giorno magico, uno di quei giorni in cui i sogni vincono la realtà.

L’”uomo dabbene” parve udire la sua preghiera. O forse furono i suoi occhi luminosi, lo sguardo di Marika, perso in un altro mondo. Accostò e parlò alla ragazza. Come davvero fosse sua figlia. Ascoltò i suoi sogni, il posto in cui sarebbe voluta stare, insieme ad un amore giovane, puro. E le parlò con parole che le restituivano l’innocenza. Parole che restituivano anche a se stesso qualcosa che aveva perso per strada.

Poi riavviò il motore e non si udì più nessuna parola, dentro la macchina regnava un silenzio dolce, un silenzio che faceva bene al cuore.

Arrivarono alla sede del’associazione di don Peppe," l’uomo dabbene" scese, aprendole la portiera e …Marika si sentì una regina.

-Vai tranquilla- le disse- sono aperti sempre, aspettano sempre qualcuno-
Così, Marika scese, suonò al campanello, entrò inghiottita dalla casa.
Libera, finalmente, di aspettare il suo amore.


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