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sabato 21 aprile 2012

LE TESSITRICI ( Capitolo I)


Capitolo I

ANNA
(Disse la contadina: tutto sotto controllo!
Intanto, dal pollaio, se n'era scappato il pollo.) 





Anna era stanca.
A questa cosa non sapeva trovare una spiegazione. Non ce n’era. 
Fino allora aveva vissuto aspettandosi che i comportamenti umani fossero razionali; lo aveva sempre preteso, da se stessa e dagli altri, da tutti quelli che aveva incontrato lungo la sua strada.Ma finalmente capiva che doveva arrendersi, era diventata consapevole della sua impotenza.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Quest’amara certezza le toglieva le forze, la svuotava. 
E proprio questo suo stato d’animo ha fatto nascere la mia storia,
perché la sua sconfitta  la portò  all’apertura e alla  condivisione. 

Così Anna riunì un gruppo di donne, i personaggi di questo racconto:
tutte “tessitrici”. Qualcuna le conosceva già, altre si aggiunsero strada facendo. 
I loro incontri diventarono regolari, le discussioni cominciarono a essere programmate, tanto che dovettero trovarsi presto un locale dove riunirsi per decidere comodamente le loro iniziative.
Lo scelsero minuscolo, ma pieno di fascino,vecchio di un paio di secoli; aveva  le volte a cielo di carrozza che nascevano l’una dall’altra, e disegnavano sul soffitto una specie di enorme tela di ragno, con i mattoni a vista che ne sottolineavano le curve. Il nome giusto lo trovò Simona -L’Ordito! - disse entusiasta. E nessuna ebbe da ridire su un nome che pareva a tutte molto indicato per una sede di tessitrici.
Si erano trovate ed erano diventate amiche. E, proprio perché si cammina bene con gli amici, decisero di fare un viaggetto insieme. Il viaggio che vi vado a raccontare.
Queste donne venivano da luoghi  diversi e da storie diverse. Ognuna voleva dimenticare il fardello di un passato non rinnegato, ma irrisolto. Provavano a lasciarselo alle spalle, ben sapendo che era la materia di cui era fatta la loro carne, i nervi, il cuore. Dentro c’erano i fatti e le persone che avevano plasmato le loro figure; non solo la pelle, erano arrivati fin dentro le visceri. Mai avrebbero potuto liberarsene davvero. Era un prezioso bagaglio, ma erano stanche del suo peso, ora desideravano un po’ di leggerezza e libertà.
Improvvisamente, ( all’apparenza, perché ogni fatto accade solo dopo un lungo percorso)  si erano svegliate e avevano deciso di farsi questo regalo.
Ho già detto che erano tutte diverse: alcune ricche, altre povere; alcune giovani, altre vecchie; certe sveglie, altre meno. Però si capivano bene. E forse si somigliavano pure. Tutte sapevano tessere: chi tesseva la lana, chi la seta, chi tesseva filati di ginestra, chi di zucchero, chi infilava collane, chi lavorava la paglia, chi la paglia di ferro , chi metteva insieme parole per consolare o far ridere, chi gli aghi di pino e - Dio solo sa quanta pazienza ci voleva!                                                                                      
Ma quasi nessuna era pagata per farlo: che mestiere era mai questo tessere di qua e di là, secondo fantasia e senza nessuna richiesta e grande necessità ?


Si era alla vigilia della partenza. Le donne, davanti  al “Bar delle rose”, avevano fatto cerchio intorno a due tavolini, da loro stesse uniti, e si accavallavano con le voci. C’era un bel fermento. (Il cambiamento produce sempre una grande  quantità di adrenalina).                                                                                                                                  
Tra risate, gridolini e qualche sospiro di perplessità, qualcuna notò che si era intrufolata nel gruppo una ragazzetta.
Mitria disse: 
-  Chi conosce questa bimba?                                                                                                
Tutte la guardarono. 
Nessuna ebbe qualcosa da dire.                                                                                            Mitria allora si avvicinò  - Chi sei bellina? Come mai t’interessiamo?
Ma la giovane mostrò di non avere voce e, giustamente ,non rispose né alle domande di Mitria, né a quelle delle altre che provarono.
Era piccina. Una ventina d’anni o giù di lì. Nasino all’insù, ricciolini folti da fare tenerezza. Pareva non avesse la minima intenzione di andarsene via.                                                 
 Lola si occupò di chiedere un po’ in giro, poi s’informò meglio presso chi di dovere. Dissero che aveva i suoi documenti ed  era maggiorenne e, se proprio ci tenevano, potevano portarla con loro.
Mentre s’interrogavano sulla sua identità e su cosa fare, la giovane se ne andava saltellando attorno all’una e all’altra, con una tale allegria che Anna disse -  Che dite? La lasciamo venire?                                                                                                                           
 Ma  sicuramente non sapeva tessere. No, certamente non sapeva tessere.   
 Ma Lola disse - Cos’altro è questa danza che fa avanti e indietro,di qua  e di là, girando e intrecciandosi in mezzo a noi?                                                                                                     
Nessuna delle tessitrici ebbe il coraggio o la voglia di allontanarla. E fu così che la presero con loro e diventò la loro mascotte.
Arrivò il giorno della partenza.                                                                                                                           
Il primo tratto a piedi, così come avevano deciso.
Davanti a tutte Anna ,la guida; vicino a lei la giovane muta, poi Simona che infilava collane,Teresa che sapeva tessere il filo di ginestra,Veruska esperta nel lavorare i metalli,Tania indaffarata con i suoi orecchini, Rosa che filava lo zucchero, la delicata Clessidra che ricamava pizzi e merletti,ultima, la saggia Mitria ,che indossava il suo scialle di lana blu, appena cucito.
Partirono all’alba, con il sole rosso rosso,troppo rosso per dare già buona luce. Si respirava fresco e silenzio,si camminava decise e spedite.
Tranne la giovane muta che andava avanti e indietro, di qua e di là. 
Sempre saltellando.


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