Capitolo VI
MITRIA
(IL DOLORE E’ UNA FERITA
DI SPADA,
MA LA SUA LAMA DEVI LASCIAR
CHE VADA)
Mitria, saggia lo era diventata. A caro
prezzo.
Adorava la sua Nora. Da bimba rideva sempre: un
uccellino cinguettante! Quando
giocava con le amiche, nel cortiletto di casa, Mitria ascoltandola sfaccendava
e sorrideva intenerita dai suoi gridolini festosi. Quella figlia se la vedeva
crescere senza saper dire di no a nessuno. Accontentava tutti.
E rideva! Rideva! Felicissima di stare al mondo.
immagine di Azione Creativa
Mitria
pensava- Cos’ho da insegnarle? Pare di esserci già stata su questa terra. Si sa
comportare con chiunque. E niente le insegnò mai, se la godette soltanto.
Antonio era il marito di Mitria e amava sua
moglie più che la sua vita. Spesso si sorprendeva a dire a voce alta- Cosa farei senza di lei? Come potrei più
vivere?
Antonio, la sua Mitria se l’era quasi rubata,
quando, giovanetto, era andato fuori confine a fare il muratore in un paese
poverissimo, perché la sua impresa edile doveva costruirci una scuola con i
soldi di un’associazione di beneficenza. Lì incontrò Mitria la pastora, vent’anni
e la grinta di una donna fatta. Non bellissima. Aveva le spalle troppo larghe e
il volto squadrato. Ma i suoi occhi erano profondi e neri e, quando ti
guardava, sapeva puntarli dritti in faccia, senza paura.
Se ne innamorò subito perdutamente e la sfinì
con una corte talmente serrata, che sarebbe stato impietoso dirgli di no.
Così Mitria lasciò la sua terra, la sua
lingua, i suoi parenti e le sue pecore. Per seguire il suo uomo. Diventò la sua
forza, la sua certezza, la sua chiarezza, la sua onestà, la sua gioia. E non
rimpianse mai di averlo fatto, per quanto fu grande l’amore che ne ebbe in
cambio e per quella figlia che adoravano entrambi.
Ma la felicità va difesa, non si può essere
sprovveduti e abbandonarsi al destino pensandolo amico.
Nora giunse a quindici anni con l’innocenza di
sempre. Si affidava. E si affidò a un ragazzo troppo grande, al quale
naturalmente non disse di no. Accadde quello che era troppo presto le accadesse.
Però, fino a quel punto tutto si poteva aggiustare, fino a quel punto ancora
non bisognava piangere.
Ma non era più un gioco quello che le stava
accadendo, era la vita che voleva prendere forma. Per la prima volta ebbe
paura, pensò che avrebbe perso l’amore dei suoi genitori, che li avrebbe feriti,
e accettò il suggerimento facile, dato da chi lo crede facile perché non lo
vive sul suo corpo.
Poteva essere gioia, inaspettata gioia. E
invece fu disperazione. Nora perse la voglia di ridere. Si ammalò di tristezza
e con lei si ammalò tutta la famiglia.
Mitria sentiva rimbombarle nella testa sempre
queste parole - Aiutami, mamma! Ma non era Nora a dirle, era il suo cuore che
gliele faceva sentire.
Pensò e ripensò, fino a che decise di lasciare
ogni cosa e andare con lei. Ovunque potesse stare meglio. Ovunque le sembrava che
desiderasse arrivare. La figlia si placava durante il viaggio, ma poi sempre
tornava nella sua tristezza. Per anni fu così. Fino a che Mitria si rassegnò e
accetto l’idea che Nora dovesse fare il suo cammino da sola. Doveva benedirla e
lasciarla andare. Con tutto il suo amore. Ma doveva lasciarla sola.
Per non impazzire, divenne saggia e cominciò a
dare consigli a tutti. Voleva evitare loro la sofferenza che nasce dagli
sbagli. Ma non poteva più stare ferma, non ci riusciva. Così lasciò Antonio a
disperarsi e, decisa, si aggregò alle tessitrici. Per i caldi e morbidi scialli
che aveva imparato a fare da pastorella.
Tessendo, però, più raccomandazioni per
evitare errori, che lana e, sempre con l’occhio attento alle vicende umane.
Soprattutto a quelle delle donne.
Per questo subito si accorse di Celeste.
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A Montechiaro, le nostre donne rimasero
qualche giorno ospiti del sindaco. Trattate, a onor del vero, con grande
riguardo. Furono accompagnate a visitare la scuola, il circolo degli anziani,
quello di calcio, incontrarono gruppetti di donne che facevano a gara per
invitarle a prendere un the insieme e, mentre bevevano e mangiavano ottimi
pasticcini casarecci, rispondevano alle infinite richieste di chiarimento sul
progetto di Teresa.
Intanto si facevano anche i preparativi per la
partenza. Che arrivò presto, visto l’entusiasmo che si era creato nel borgo.
Mitria si organizzò con Celeste. Avrebbero preso, con le altre tessitrici, il
pulman fino a Marina della Baia, poi da lì si sarebbero separate dal gruppo per
prendere il battello che, in circa due ore di navigazione, avrebbe raggiunto
Albarosa. Le altre, tranne Teresa, avrebbero proseguito verso sud.
Il giorno della partenza, non ci fu la banda,
ma i saluti furono caldi e sinceri. Molti erano commossi. Per gli abitanti di
Montechiaro si era accesa una bella speranza di miglioramento.
Sul vecchio autobus ammaccato, le donne
salirono elettrizzate ed eccitate, con la solita adrenalina alle stelle.
Salutavano e abbracciavano un po’ tutti: le guardie, il vecchio sarto, il
postino, il proprietario del bar, la maestrina ancora supplente, il sacerdote,
il fornaio, il calzolaio, il sagrestano della chiesa di S. Quirico. Infine, con
più calma, Mara la sindachessa e il sindaco ( che mise in mano, con malcelata
discrezione ,sia ad Anna, la guida, che a Mitria, una busta contenente un
cospicuo assegno)
L’ultima, a essere abbracciata fortemente, fu
la loro Teresa, che era stata il motore del progetto e che, allegramente,
quando finalmente le tessitrici salirono e l’autista partì sfumacchiando con il
vecchio pulman, tirò fuori un enorme fazzolettone bianco e lo sventolò a più
non posso.
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La strada, che conduceva verso Marina, era
piena di curve e molto in discesa. Ma la vista era incantevole, non per niente
era chiamata Strada panoramica.
Più si scendeva, più gli scorci tra una
collina e un’altra, tra una chioma d’albero e un’altra, lasciavano vedere una
porzione minore d’azzurro mare. Qualcuna però non riusciva a godersi il
panorama, perché i frequenti rimbalzi e scossoni del mezzo, che procedeva sulla
strada piena di curve strette e a gomito, con il fondo stradale zeppo di buche
e crepe, avevano avuto i suoi effetti devastanti sul suo povero stomaco. Celeste
a malapena tratteneva il vomito e, quando finalmente giunsero alla stazione
degli autobus, in pianura, laddove il mare era scomparso tra palazzi e
palazzoni, ringraziò davvero il cielo.
Scese in fretta dal pulman e respirò a pieni
polmoni l’aria fresca del mattino. Cosa che le fece meglio di una medicina.
E si arrivò al distacco. Le strade da percorrere
diventarono due: una, verso il mare, per Celeste e Mitria, l’altra, che partiva
dalla stazione dei treni, per Anna la guida, Simona, Lola, Tania, Veruska,
Rosa, Clessidra e la giovane muta.
Lasciamo al suo cammino la piccola Celeste
protetta da Mitria, e seguiamo le altre che prendono il treno per raggiungere
un sogno.
Sto leggendo in fila come da te consigliato e mi entusiasmo ad ogni capitolo...
RispondiElimina...il dolore è una ferita di spada, ma devi lasciar che vada...
RispondiEliminaCecì...ho scoperto ora che davvero sei la mia lettrice preferita!( sono le 2 e 27!!!)
RispondiEliminaTi ringrazio per la forza che mi dai!