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giovedì 26 aprile 2012

LE TESSITRICI ( Capitolo XIII )



Capitolo XIII
LA SCUOLA







(BEN PIU’ REALE DEL RE
È IL NOSTRO “ FAI DA TE”)




A Reale le attendeva l’esperto.
Era uno psicologo anzianotto, con la barba bianca e lo sguardo dolce da nonno. Ci teneva a realizzare il suo progetto. Era il suo sogno. Era riuscito a ottenere un finanziamento, ma la cifra non bastava e aveva bisogno di collaboratori volontari. Il preside di Anna gli aveva offerto l’aiuto della sua scuola, per questo la nostra tessitrice lo aveva raggiunto portando con sé le sue amiche.
Reale è un nome assolutamente inadatto a questo paese.
Questo posto è un fantasma, un luogo assurdo, partorito troppo in fretta, perché possa essere vero. Senza futuro, perché senza passato; esistente per sbaglio, per un errato concetto di benessere. Un paese rubato alle sue radici, senza più storia e senza più senso. Rubato anche alla sua bellezza, perché la bellezza ha bisogno di tempo per essere coltivata e per crescere. Non basta riempire uno spazio, gonfiarne le dimensioni, per rendere un luogo attraente. Bisogna aspettare che dentro vi crescano un cuore, i nervi, una testa, la sua faccia. Solo allora lo spazio avrà la sua vita. Mille volte meglio abitare in tuguri diroccati e scomodi, ma amati. Mille volte meglio, che in questi palazzoni senz’anima, che ingigantiscono il senso della solitudine e dell’estraneazione. Dell’angoscia. Palazzi cresciuti troppo e troppo velocemente, senza lasciarsi segnare dalla vita di chi, suo malgrado, si ritrova a passarcela. E queste larghe piazze vuote non appartengono, come non sono sentiti propri i monumenti innalzati, soprattutto per dare gloria all’artista che li ha ideati.
Poco distante da Reale, piangono i ruderi della vecchia Reale abbandonata, che sarebbe stata pronta a resistere a tutto, ma non al disamore. E con lei soffrono anziani senza più posto per i ricordi e adulti senza appoggi per il futuro. E i ragazzi? Qui i ragazzi crescono in fretta. E vanno via anche in fretta. Perché senza le fondamenta le mura crollano. Il dottor Piero non voleva veder crollare i suoi ragazzi. Pensava, con la realizzazione della sua scuola, di puntellarli, di dare loro stabilità.
Aveva fede nel suo progetto. Pur essendo un senza Dio, era pieno di fede.
Il treno arrivò alla stazione di Reale che si stava facendo buio. Le donne scesero in silenzio, non era necessario scambiarsi commenti inutili. Sapevano dalla partenza che la meta che avrebbero raggiunto non era una località turistica per trascorrerci una  vacanza.
Le accolse il buon Piero con il suo più dolce sorriso, quando Anna, indovinando chi fosse, gli andò incontro. Mentre camminavano insieme, verso la fermata dei taxi, lui e le nostre tessitrici parlavano come vecchi amici. Complici.
Anna gli disse - Dovremo prenderne due, siamo in troppi.
E il dottore - E  meno male! Anzi, siamo ancora in pochi. Ma l’importante è iniziare.
I due taxi partirono l’uno avanti l’altro, andando dalla stazione, verso la bella collina verde, oltre Reale nuova e ai margini di quella vecchia. In alto si scorgeva l’antico palazzo Bennati, restaurato com’era prima che la terra tremasse.
La strada, uscendo da Reale nuova, saliva toccando appena la Reale disastrata, e poi continuava verso il palazzo. La vista della città morta stringeva il cuore: ormai si era fatta cimitero, testimonianza  del tempo oltre il tempo, non più vita, ma storia. Il verde cresciuto negli anni, con calma, tra un rudere e un altro, lasciava immaginare la bellezza dei luoghi integri un tempo, addolcendone l’atrocità del dolore per la distruzione subita. Qualche affresco affiorava con i suoi colori e le sue immagini ancora visibili, e s’indovinava dove una volta c’era una bella chiesa. Pezzi sparsi di antiche colonne e qualche statua monca affioravano, testimoniando  che il paese, prima della tragedia, era stato davvero degno di un re.


Dopo averlo appena sfiorato, quasi per non profanarlo, la strada s’incurvava dirigendosi in alto, verso la cima del colle. Alla fine della strada, nell’uno e l’altro ciglio, resistevano due panchine di pietra bianca che mostravano tutti i loro anni, tuttavia erano ancora ben salde, sotto un folto gruppo di pini dalle chiome elettrizzate ,che facevano la guardia graffiando il cielo.
Superati i pini, il belvedere da dove s’intravedeva, tra la foschia, la vallata che il treno aveva appena attraversato, appariva a sorpresa. E, sul belvedere, dietro un meraviglioso cancello di ferro battuto nero, ricamato come pizzo francese, c’era un giardino, con cerchi di pietre luccicanti stracolmi di ortensie blu, bianche e rosa, al culmine della loro fioritura.
In mezzo al giardino, l'edificio: erano arrivati, quello era il palazzo Bennati, lì avrebbero realizzato la loro scuola. E la bella immagine faceva ben sperare.
Veruska esclamò – Che meraviglia questo cancello! Un vero capolavoro! 
Quasi le dispiacque quando il dottor Piero, scendendo dal taxi, si apprestò ad aprirlo velocemente nascondendone la bellezza.
La giovane muta, attraversando il giardino, faceva mille gesti di gioia.
-Sì, brava!- le disse il dottore– Sono ortensie.
Rosa esclamò - Con chi sta parlando? Marella è muta, non se n’è accorto?
-Sta parlando – chiarì, il buon uomo - Siete voi che non conoscete la sua lingua! Non sapete che esiste il linguaggio dei segni? Non ditemi che non vi siete accorte! Si sa pure ben spiegare la piccola!
Continuò per un po’ a comunicare magicamente fitto fitto con la giovane muta e poi, rivolta a Rosa, disse - A proposito, non si chiama Marella.
Rosa, ridendo - E come? 
Il dottore, divertito, fece con la sua mano, curvando il pollice e l’indice, il segno di una mezza luna attorno all’occhio sinistro - Si chiama così! Non conoscete nessun’altra con questo nome, vero? Probabilmente l’hanno scelto per via dei suoi begli occhi azzurri.

Le tessitrici erano eccitatissime per la bellissima scoperta.
Anna pensava - Ci vorrebbe Mitria, cosa darei per sentire il suo commento!
Clessidra si avvicinò alla giovane muta e, fermandosi di fronte a lei, fece lo stesso gesto del dottore e poi la baciò sulla guancia. – Perdona la nostra ignoranza!- le disse con emozione.
Ed entrarono a braccetto nel palazzo, seguite dalle altre che parlavano concitate, riempiendo di echi le volte delle stanze e dei corridoi.
Il dottore esclamò - Finalmente un po’ di vita qua dentro!




 


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