IL MONDO DI
A E ZETA
CAPITOLO I
Zeta: Che
bella giornata!
A: Sì,
finalmente fa caldo. Facciamo il bagno?
Zeta: Oh,
sì! (ridendo)
Zeta: Siamo
soli. Che silenzio!
A: E’ il
momento del Recupero. I Perfetti sono andati tutti. Vieni: tuffiamoci!
Loro
conoscono intimamente il mare. Sanno della madre e della morte, dell’origine e
della fine. Sanno del sale, delle trasparenze, delle luci mutanti, delle
frescure, della forza e della pianificazione. Sanno i gorgoglii, le
dilatazioni, le penetrazioni, le frantumazioni. Sanno l’eterno e il movimento
perenne, il silenzio profondo, i vapori che salgono verso i confini rotondi,
l’accoglienza infinita. Sanno che c’è tutto questo nel mare. Ed anche altro.
Ma non sanno
ancora il perché della sua esistenza. Né mai avrebbero voglia di chiederselo,
se non fossero imperfetti. Però ora non pensano a questo. Tuffati nelle onde,
presi dall’acqua, all’unisono, con ampie bracciate, solcano sottilmente il
fresco argento del mare. Dietro di loro una scia di minuscole bollicine bianche
si allunga verso l’orizzonte. Appena più lontano, sulla collina, oltre il Bosco
Azzurro, li segue con il suo sguardo attento Martin. Pare sollevato: il
Recupero è finito e i nostri ragazzi “diversi” sono tranquilli. Ma come sempre
continuerà a vigilare.
Martin sa
che non dimenticherà mai. Sulle sue spalle peserà per sempre la colpa della sua
distrazione, la sua unica, la sua grandissima distrazione. Quella porta doveva
rimanere chiusa. Sapeva benissimo che questo era il suo compito. Aveva fatto di
tutto per averne l’incarico, si era preparato a lungo per meritarlo. Questa era
la missione che dava senso alla sua vita. Mai se n’era dimenticato, mai l’aveva
sottovalutata: era l’eletto e sapeva che doveva esserne all’altezza.
Ma quel
giorno ...
C’era
nell’aria qualcosa di strano: come una voglia di ridere. Si respirava un
desiderio non dico di trasgredire, ma sconfinare un po’. Come voler aprire la
finestra per rinfrescare una stanza. C’era allegria attorno a lui e dentro di
lui, come avessero tutti un po’ bevuto. Ma lui non beveva mai.
Martin
allora aveva vent’anni. Un’età magica sempre, almeno gli pare di ricordare che
anche per lui fu così. Aveva grandi sogni e quella è l’età dei sogni. Sentiva
dentro il petto, il cuore gonfio, quasi fino a scoppiare, tanto immensa era la
voglia di realizzare desideri, non un desiderio particolare, tutti i desideri
immaginabili.
Pure era
orgoglioso del suo incarico e attentissimo a rispettare le regole che aveva
accettato.
Ma quella
porta era lì, come a invitarlo a entrare. Tutte le altre erano ben chiuse e,
benché ne avesse le chiavi, gli era facile resistere alla curiosità. Ma quella,
con l’anta appena accostata, lasciata quasi per calcolo socchiusa, pareva
chiamarlo.
Non
resistette. Avanzò, appoggiò la mano sul battente della porta e sbirciò.
Dentro,
l’altra parte di sé, da sempre imprigionata, che mai avrebbe sperato di
ricongiungersi al sé nato, sobbalzò. Sapeva d’essere melma, mala radice, fogna,
abisso, buio e negazione. Il suo sogno di vedere la luce era irrealizzabile.
Però, pur senza uscire dalla sua stanza, com’era condannato a restare,
finalmente riuscì a incontrare lo sguardo di Martin. Solo un attimo, e i suoi
occhi e quelli del custode, unendosi, videro non tutto, ma molto di più di
quanto era loro concesso.
Quando
Martin scappò via, rifiutando la visione e chiudendo con forza la porta, ormai
era rimasto inquinato.
Ma si
convinse d’aver sognato, volle credere fosse stato sogno. E andò senza nessuna
precauzione a custodire A e Zeta, gli ultimi generati in laboratorio della
linea “cerchio/bianco”.
Fu questa la
vera causa dell’imperfezione dei nostri ragazzi.
Martin non
raccontò mai a nessuno la verità, avrebbe voluto cancellare con il silenzio
ogni cosa.
Mai raccontò
la verità, ma sapeva in cuor suo di aver cambiato per sempre il loro destino.
E mai
dimenticò la sua colpa.
Intanto ora
...
A e Zeta, a
guardarli, appena usciti dall’acqua, bagnati e con gli occhi languidi, direste
proprio che hanno appena fatto l’amore. Stessi girando un film, li inquadrerei
sempre in primo piano, quasi immobili come nelle foto. Punterei l’obiettivo sui
loro occhi lucidi, sulle bocche semiaperte, sulle dita delle mani intrecciate.
Infine sui piedi che vanno e sulle orme che ricamano il bagnasciuga.
Naturalmente il sole sta tramontando e veste di dolci tonalità rosa la natura
tutta ed anche le belle sagome sottili dei ragazzi che, allontanandosi,
diventano sempre più piccole e infine scompaiono, ingoiate dal colore. Dal lato
opposto della scena, rinvigoriti e purificati dopo il Recupero, arrivano
cicalando i Perfetti, quelli che sono stati generati senza alcun errore.
Ogni volta
Martin resta sorpreso da questo strano fenomeno, proprio non sa spiegarselo:
sempre, quando tornano dal Recupero, i Perfetti hanno una gran voglia di
parlare. Pure sanno tutti comunicare con la mente e comunque non hanno grandi
vicende da raccontarsi. Continuamente cerca di orecchiare, ma non ne viene mai
a capo. Dicono sempre le stesse cose da anni. I loro discorsi sono circolari,
non vanno oltre un numero di quattro o cinque argomenti. Ma il gusto con il
quale parlano è sempre fortissimo e inspiegabile. Certe volte pensa che le loro
parole posseggano un codice segreto, ma non riesce a scoprire la chiave
d’accesso per la loro comprensione. D’altra parte sa che non potrebbero mai,
con la loro semplicità, realizzare un’operazione così complessa.
Però è molto
incuriosito da questo loro parlare così simile a un’esercitazione verbale,
quasi che i Perfetti stiano imparando a memoria qualcosa e si aiutino l’un
l’altro per fissarla nella mente. Ma perché?
A e Zeta, da
tempo, hanno tutto compreso.
Ma non sanno
come comportarsi. Custodiscono il loro segreto nell’attesa di essere
"illuminati", intanto si godono entrambi la loro vicinanza.
Ora si
trovano dentro il bosco azzurro, sono penetrati fin dentro il suo cuore più
nascosto, presso la grande fontana Blu, dove tutto ciò che chiedi appare e
tutto ciò che è nebuloso, assume i suoi contorni e diventa comprensibile. Il
bosco è magnifico in questa stagione estiva. Contrariamente al suo nome, il
colore dei suoi alberi è di un verde profondo con appena dei riflessi blu, là
dove il fogliame è più fitto e si stringe all’acqua, quasi per rubarle un
colore che crede non suo. Ma il verde non sa di possederlo in sé e,
inutilmente, si sente una ladra. L’acqua della fonte, invece, è consapevole di avere
il dono della veggenza e di poterla riflettere negli occhi di chi in lei si
specchia.
Elemento
furbo l’acqua chiara che ci dona quello che già possediamo, ma che è negato al
nostro sguardo diretto! E triste è la condanna che colpisce tutti gli uomini di
tutti i tempi, che mai ci concede la nostra visione senza l’aiuto di uno
specchio qualsiasi, né ci permette l’esposizione esatta dei nostri pensieri,
perché li stravolgiamo esprimendoli!
Come la
fonte contiene l’acqua e le dà forma, così le cose appaiono secondo gli argini
dei luoghi e dei tempi che attraversano, e tutto è vero e reale, se visto con
le coordinate giuste.
E lì, dove
sono andati i ragazzi, accade proprio questo. A e Zeta consapevolmente vanno
per accrescere il proprio sapere. Perché ne hanno bisogno e si sentono pronti.
A e Zeta
vogliono conoscere il passato, soprattutto quello dimenticato, senza
testimonianze e mai scritto. Quello che il tempo, percorrendo la sua strada, ha
smarrito in qualche sentiero.
Lei cerca
l’ambra dorata, ne prende un piccolo pezzo perfettamente tondo e lo getta in
acqua. I cerchi nascono dilatandosi dall’interno verso l’esterno, fino a
raggiungerli entrambi. Ed è quasi canto quello che ne viene fuori e accompagna
le visioni.
Zeta è
felice della sua scelta, quasi non si sorprende della storia che va leggendo e
vivendo.
Sì, perché
loro la storia la studiano così: proiettandosi dentro le immagini del tempo
scelto, di più, dentro la vita stessa dell’epoca da conoscere. Fino a sentirne
i profumi, i sapori, il dolore.
La giovane
pare immergersi in un passato per lei diventato presente. E’ più che
conoscenza. Dimenticando la sua vera condizione, si sente nuovamente piccola,
ed è lei la bimba che gioca all’aperto con gli animali di un tempo, che corre
su e giù in mezzo alle colline in fiore. E’ lei che è guardata da cari occhi
stanchi di familiari con il volto cotto dal sole. E intorno a lei la natura
muta velocemente le stagioni e i colori cambiano con il medesimo ritmo del loro
susseguirsi: nitidi e vivi come fossero attuali. Anche il lavoro nei campi
varia: ecco l’autunno con l’aratura, la vendemmia di grappoli d’oro e d’ebano,
la semina con dentro il cuore, l’attesa e la speranza del raccolto, la legna
accatastata pensando all’inverno! E si accende di nuovo il camino, gli uomini
si scaldano dentro la stalla, giocando a carte, ma le donne sonnolente, al
calore della fiamma, cullano bimbi che saranno messi a letto, perché il giorno
muore presto. Fuori la neve sfida il buio della notte. Poi torna la primavera e
gli uomini e le donne si sparpagliano per i campi, tornati vitali insieme alla
natura, e si affannano nei mille lavori che porteranno i frutti. Infine
l’estate e il ciclo si compie, la natura si apre alla luce e al calore, il
grano imbiondisce e i fiori cadono per lasciare posto ai frutti (immagina i
frutti, immagina i fiori: la mia canzone!)
Ma i frutti,
i fiori e gli animali portano il segno di una fatica ben più grave e reale di
quella che si conosce nell’epoca della nostra storia.
Come sono
più visibili i giocattoli di un bambino povero da quelli dell’altro ricco,
perché ne sono pochi e sono stati attesi a lungo.
Anche i
contadini, come i nostri ragazzi, parlano poco e sanno comunicare
silenziosamente: questo è il dono che hanno ricevuto dai prati in fiore, dalle
onde verdi e poi d’oro dei campi di grano, dai tronchi nodosi di querce
antiche, dal bisogno di risparmiare il fiato, perché le giornate di lavoro sono
lunghe e bisogna arrivare fino a sera.
CAPITOLO II
A sorride a
Zeta intenerito ancora una volta dal suo gioioso modo di apprendere. Pensa: è
sempre un piacere infinito osservarla, è così originale!
Poi si
raccoglie intensamente – dammi la mano!- le chiede.
Zeta
risponde al sorriso del ragazzo, gli tende la mano e stringe tra le sue, le
dita dell’amico, quindi respira a lungo, profondamente, infine, si ferma e
resta immobile, la sua espressione si fa assente, è come svuotata del suo io:
ecco lo ha raggiunto. Sono un’unica cosa.
-Posso
andare- pensa il nostro A - Zeta è con me!-
A non sa,
dove trovare la sua pietra, ne vorrebbe una che non affondi del tutto, che
galleggi un po’ fuori della superficie dell’acqua. La vorrebbe anche abbastanza
grande da produrre larghi cerchi. Vorrebbe: ma ai ragazzi è dato inventarsi ciò
di cui hanno bisogno e A non deve necessariamente accontentarsi. Allora il
giovane si libera delicatamente dalla stretta di Zeta, raccoglie un largo sasso
bianco screziato di rosso, che fa da gradino per scendere verso l’acqua, lo
abbraccia e se lo porta ai piedi della grande quercia. Poi si allontana
cercando. E’ agile il giovane A, è un cerbiatto pieno di grazia quando
saltella, una scimmia un po’ acrobata se si arrampica sui rami torti e
intrecciati, un’aquila dalla lunga vista se fissa da lontano l’oggetto
desiderato e, d’improvviso, in picchiata, lo afferra. E breve è il tempo che
gli serve. Eccolo, ha già trovato due grossi nidi e alcune liane robuste e
arrotola il tutto attorno alla pietra scelta per renderla leggera come voleva.
Ora che ha la sua esca, prima di buttarla, ritorna nella sua quiete, si
concentra, l’alza quasi in offerta al cielo e, finalmente, la lascia cadere.
Un tonfo!
Qualche spruzzo, come un tuffo mal riuscito, poi di nuovo i cerchi affiorano
spumeggiando, si dilatano, diventano parole e immagini e, nel suo movimento, l’acqua
s’infila tra i rami dei nidi e tra le liane e batte sulla roccia e ritorna alla
fonte con meno vigore, placata, sbavando schiuma bianca.
Zeta si
scuote stupita. E guarda.
Guardano
insieme, i ragazzi. All’inizio credono di assistere a fuochi di artificio o
magari a feste balorde, di quelle dove si cerca lo sballo.
Ma poi
sentono crescere dentro sensazioni fortissime di dolore e angoscia mai provate.
No, non è una festa!
A e Zeta
hanno bisogno di abbracciarsi: è tremendo lo spettacolo che appare ai loro
occhi e che finalmente iniziano a comprendere. Davanti a loro, in tutta la sua potenza, c’è quella
violenza di cui avevano spesso sentito narrare durante le lunghe notti
invernali, quando si possono raccontare storie assurde, da brivido. Per vincere
la noia delle ore grigie. Ma le credevano invenzioni .
Dal buio
dell’acqua, resa torbida dall’improvviso moto ondoso, escono spruzzi di sangue
e brandelli di carne, urla e lamenti strazianti che raggiungono il cielo .
Volti feriti e corpi monchi s’intravedono tra lampi minacciosi di luce pesante
e discontinua. Che non schiarisce la notte.
Volti di
guerrieri, sì, ma anche di donne, di vecchi, di bimbi.
Gli occhi
dei ragazzi si rifiutano di vedere, ma gli schizzi sono violenti e, se pure non
li guardi, li senti sulla pelle inorridita, penetrano dentro i pori del corpo,
feriscono la mente. E le grida sono coltellate dentro la testa. Quest’inferno
vuole essere conosciuto.
Per la prima
volta A e Zeta sono sconvolti da una paura tanto più travolgente, quanto
inattesa. Si stringono forte. Non si accorgono nemmeno di avere il volto
bagnato. Loro non sanno delle lacrime, dei brividi, del sudore gelato,
dell’affanno, delle grida. Non sanno neanche dei baci caldi e della passione.
Ma è un attimo, un incontrarsi l’un l’altro, una condivisione pura. E conoscono
ogni cosa: il gelo e il calore, la distruzione e la moltiplicazione, l’odio e
l’amore.
La tempesta
si placa, rallenta sempre più,si rasserena ingoiando se stessa, torna alla
fonte.
L’acqua, non
più tormentata, si separa dalla melma e il fondale traspare e il verde di nuovo
si rispecchia.
Qualche
foglia che il turbine degli eventi ha staccato dalla quercia vicina, è rimasta
in superficie e galleggia, finalmente in pace.
I ragazzi si
sono trovati, ormai sono insieme. Né poteva accadere diversamente.
C’è un
destino dentro le cose che lega i loro accadimenti. Anche se le cose sono ombre
o sogni o pensieri.
Anche Martin
lo sa e, dunque, inutilmente ha il cuore triste e si rammarica d’essere
arrivato tardi.
CAPITOLO
III
Davvero
ormai
non si può tornare indietro. Si può solo rimediare.
Oh!
Martin adora i suoi ragazzi, li ama più di ogni altra cosa. Li ama
come non gli sarebbe permesso amare. Li ama tanto che non vorrebbe mai
vederli
soffrire. Per questo non può perdere tempo e deve darsi da fare. I fatti
precipiteranno in fretta . Ha bisogno di pensare
velocemente.
Ma
sa
che tutto è già scritto, perché tutto è già accaduto, ed egli non ha il
potere di annullare le cose
stabilite.
Però
si
ricorda della chiave, ha la chiave per trasformare gli eventi. Quando
si
avvicinò alla porta per guardare, l’aveva trovata predisposta a essere
aperta.
Il suo gesto fu simile ai riflessi dei neonati che nel sonno si stirano o
sorridono. Non fu vera disobbedienza. I ragazzi invece hanno disubbidito
gravemente. Sarà duro rimediare. Ma il suo senso di colpa pesa come
macigno,
come enorme palla di ferro, come un laccio attorno al
cuore.
E
tutto farebbe per liberarsene. I ragazzi hanno osato per la sua
leggerezza, per il suo io che ha voluto avere soddisfazione, che sempre
deve
lottare per domarlo e mortificarlo. Una condanna! Martin non immagina
che
proprio per la forza del suo io è stato scelto come eletto.
Rimedierà,
userà la chiave. Che
gli importa di trasgredire? Deve salvare i suoi ragazzi.
A e Zeta nel
frattempo si accarezzano, come si vedano per la prima volta.
Zeta: che sta
succedendo?
A: non lo
so, ma è bellissimo, e tremendo.
Martin
se ne
va senza farsi scorgere, lasciandoli alla loro intimità. I suoi passi
sono
pesanti come non mai e gli rendono il breve cammino da percorrere
faticoso e
lento.
Già
scorge il
grande cerchio, dove si affacciano le porte, ma se il suo sguardo va
lontano,
il resto del corpo fatica a seguirlo, come proceda a forza contro la sua
volontà. Come gli accade in certi momenti particolari della sua vita, il
nostro
custode inizia a cantare una canzone, la sua canzone, la sua unica
compagnia,
l’antica ninna-nanna che qualcuno deve avergli cantato un infinito tempo
fa.Perché
anch’egli
è stato bambino.
Mai
ha
dimenticato le parole, mai la musica. Anche se la canta raramente, solo
quando
è sicurissimo di essere
solo.
Non
gli
è proibito, tuttavia la considera una sua debolezza .Da
nascondere.
(Immagina
i frutti, immagina
i fiori, e la natura di mille colori, il vecchio cantava, il bimbo
ascoltava …)
Il vecchio,
solo un’immagine nella sua mente.
Ma gli è
cara.
E’ da un po’
di tempo che non s’interroga più sul significato di questa visione. La figura
di questo vecchio e la melodia della canzone che l’accompagna sono una presenza
misteriosa nella sua mente. Ma cosa vogliono comunicargli?
Mi piaccion
le storie, raccontane ancora ...
Sì, nonno,
dimmi di quest’altra storia.
I ragazzi
sanno il segreto dei Perfetti. Non conoscono le parole da usare per
raccontarlo, per poterlo argomentare. Però sanno. L’essere diversi ha stimolato
la loro capacità di capire. Li guardano complici e sorridono felici.
Hanno
compreso, perché vanno oltre il suono delle parole. Hanno osservato la luce nei volti dei loro
amici, le loro espressioni.
Le strade
percorse dalla loro mente sono più numerose di quelle in cui cammina Martin,
anche meno dritte a brevi. Ma loro hanno tempo, tutto il tempo .E tutti gli
strumenti che vogliono.
Lasciano i
pensieri liberi di andare verso qualsiasi direzione. Così alla fine il vero li
raggiunge.
Anche se poi
non riescono a condividerlo, a comunicarlo.
Dopo i loro”
viaggi “ vissuti presso la fonte, la loro conoscenza si è ampliata.
Bisognerebbe renderne partecipe Martin : come fare?
CAPITOLO IV
Intanto
Martin ha raggiunto il largo cerchio circondato dalle mille porte.
Si
ferma,
prende fiato un attimo, si guarda intorno attentamente ruotando su se
stesso ad
angolo giro, poi, prendendo coraggio, emozionato come chi gioca
d’azzardo e sa
che la posta in gioco è davvero alta, sceglie la sua porta e procede
deciso.
Sa
che ha una sola possibilità
di trasgredire, i suoi poteri gli resteranno solo fino a quando il suo
tradimento non sarà scoperto. Ma non fallirà, non può fallire.
La mano pare
gli voglia un po’ tremare quando si accinge a infilare la chiave nella toppa.
Per questo si aiuta con l’altra che la ferma e la guida. Un giro, uno scatto.
I movimenti
di Martin sono lenti e attenti. Non solo perché guidati dalla paura, ma quasi
per il piacere di far assaporare ai suoi sensi ogni particolare di questo
momento unico.
Appoggia
entrambe le mani aperte sulla superficie della porta e la sente dura e pesante,
allora fa forza sulle gambe, spinge con calma energica e vede che,
gradatamente, allenta la sua resistenza e cede.
Ci siamo: si
apre uno spiraglio.
Tra poco scorgerà
uno dei mondi che gli sono preclusi.
Non può
impedirsi di provare una gioia folle, frenata, come deve ,dalla sua
razionalità. Questa sua felicità è una bestia in gabbia.
Perché
Martin non agisce per sé. Sua guida non è la bramosia di conoscere, ma l’amore.
Però: perché
non assaporare l’emozione che gli regala il superamento dei confini?
Almeno una
volta!
Ed è come
aver bevuto.
Ma gli occhi
di Martin sono spalancati e delusi. Niente è come aveva immaginato.
Non si
rassegna. Vuole aspettare prima di dare giudizi, vuole entrare e guardare bene
questo posto. Ha bisogno di viverlo.
Si fa spazio
spingendo ancora la porta, poi s’introduce e chiude il suo mondo alle spalle.
Avanzando,
invano cerca qualcosa . E’ triste e sorpreso: c’è solo vuoto e grigio.
Mancano i
colori del cielo, dell’acqua, delle foglie e dei fiori.
Però c’è la
musica. A ogni movimento del nostro custode corrisponde una musica viva che si
modula assecondando le sue sensazioni e le sue emozioni. Forse il senso è in
una comunicazione diversa, forse bisogna usare strumenti non legati alle
immagini per capire.
Improvvisamente
comprende! Non c’è altro che lui in questo mondo!
Ingoia l’amaro! Ha trasgredito per niente, per
ascoltare nient’altro che sé e il suono che produce camminando. Tra tante porte
che poteva aprire,ha scelto quella che conduce al vuoto, a un mondo senza vita
.Qui solo l’eco della sua presenza si spande a banchi come nebbia , seguendo
l’andamento dei suoi passi. Un’eco infinita che si perde lontano. Ma mai
zittisce.
Allora pensa
ai suoi ragazzi innamorati l’uno dell’altro e del mondo intero. Pure il suo
cuore è pieno d’amore, per loro darebbe la vita .E la vita lentamente appare e
canta. Il grigio quasi in sordina si ritira sgonfiandosi, la nebbia cede il suo
posto a un crescendo di colori che da timidi prendono sempre più vigore e
allegria. La musica che li accompagna lascia lentamente la sua eco per vivere
di vita propria, sempre più gioiosa. Ed è una girandola festosa, una tarantella
popolare, un valzer romantico, un tango argentino, una risata di sposa sul
letto d’amore, un lungo pianto liberatorio come pioggia su una terra inaridita.
Sì, ora è
davvero un’ubriacatura in un banchetto di festa. Ed è Martin la festa, com’era
Martin il vuoto.
Il nostro
custode, per un attimo,solo per un attimo, si lascia andare alla felicità.
L’assapora.
Io vado
via,lo lascio godere.
CAPITOLO V
A e Zeta
, si stanno amando vicino alla fonte, lì
in mezzo al Bosco Azzurro. E mille sono i baci e ancor di più le carezze. Anche
se i Perfetti hanno conservato qualche sensibilità emotiva,solo i nostri
ragazzi possono provare questa gioia. Forse lo hanno sempre saputo:ma ora! Di
zucchero e miele ha il sapore del loro corpo .
Andiamo via. Lasciamo soli anche loro.
Torniamo ai Perfetti e al loro chiacchierare.
I
ragazzi hanno capito da tempo: i Perfetti
parlano e parlano girando e rivoltando le poche cose da dire pensando di
vincere la noia, ma è il bisogno di conservare in vita la loro capacità
emotiva
che li spinge, la voglia inconscia e tuttavia irrinunciabile di
mantenersi
individui pensanti. Dicono e dicono le loro piccole cose, che riguardano
il
“loro” mondo, la loro unicità. E si commuovono, ridono, alzano un po’ la
voce,
a volte addirittura cantano e ,queste emozioni , sono la loro
salvezza.
A
e Zeta hanno invece grande cuore e grande testa: la loro diversità è
dovuta allo sguardo impuro di Martin, quando è andato a custodirli. Non
può non
lasciare una traccia, un mondo negli occhi, l’immagine vista oltre una
porta
che sarebbe dovuta restare inviolata.
Anche
nella
mente di A e Zeta si è aperta una porta che è rimasta invece chiusa per
i
Perfetti : quella che conduce alla maledizione del dubbio, alla voglia
di
sperimentare con il corpo e con l’intelletto. Ma,insieme al dono del
dubbio,
hanno avuto in regalo anche la capacità d’inventare, di creare. Non
sapevano di
averla, l’hanno scoperto alla fonte. In modo doloroso,ma l’hanno
appreso. E ora
sono completi. Completi e
dannati.
Di
questo Martin ha paura.
Ecco i
nostri ragazzi, camminano tenendosi per mano . Hanno voglia di sole.
A: vieni!
Andiamo!
Zeta: corri!
Veloci e
leggeri ,sembrano volare mentre attraversano il bosco e brevemente escono di
nuovo alla luce e al mare. I loro occhi hanno lo sguardo dolce quando li posano
di nuovo sui Perfetti che, sulla spiaggia, ancora passeggiando, continuano
senza segno di stanchezza a raccontarsi e raccontarsi e raccontarsi.
CAPITOLO VI
Martin deve
sbrigarsi, tra un po’ la porta scomparirà. Deve prendere la chiave. Sì , la
chiave.
Arriva
all’uscio trafelato, l’oltrepassa, tira a sé la porta ,gira la chiave e la
sfila frettolosamente correndo via come il vento. Corre Martin, corre oltre il
cerchio, dove si affacciano tutte le porte, oltre il prato. Poi, giunto alla collina
,si gira e si ferma un attimo ,giusto per guardare svanire l’ingresso che
sbiadisce acquistando trasparenza.
Ora ha una
chiave che l’ha condotto a un mondo che si colora con il sentimento d’amore e
altre che restano misteriose. Loro possono condurre al potere, quel potere che salverà
i ragazzi.
No, Martin
non vuole che i suoi ragazzi siano dannati. Preferirebbe essere dannato lui
stesso per sempre, per l’eternità.
Questa
parola gli dà i brividi .
Li salverà.
Deve andare,
dovrà raggiungere i suoi ragazzi, dovrà spiegare,raccontare.
Insieme
troveranno una strada.
E riprende
la sua folle corsa ,anticipando nella sua testa il suo discorso.
CAPITOLO VII
Martin
arriva
sulla spiaggia con il fiato grosso
.
Già
scorge i ragazzi: ridono felici correndo, ma la loro corsa è
un’atra.
Vorrebbe non
turbare la loro gioia, ma non può permetterselo. Li chiama disperato già prima
di avvicinarsi. E li vede venirgli incontro velocemente, con grazia. Più
sorpresi che ansiosi per il comportamento del custode. Ora che però sono vicini
si fanno seri. Tutti e tre hanno bisogno di sedersi. Martin soprattutto. E’ una
sera fresca, c’è una leggera brezza che rincuora. Il custode unisce le sue mani
a quelle di A e di Zeta , vorrebbe
trasmettere loro un po’ del suo coraggio. Poi, cercando di esprimersi con calma
e chiarezza, dice ogni cosa. Racconta della sua colpa, della loro diversità,
delle porte, del suo fallimento, della perdita dei poteri, del pericolo, della
necessità di fuggire, del suo amore! Sì, del suo grande amore per loro.
Ormai lo può
dire, vorrebbe anche urlarlo, se potesse.
Ma A e Zeta
restano tranquilli. Martin è stupito, non avrebbe mai immaginato questa
reazione.
Come fare?
Non ha più molto tempo per spiegare. Il suo tempo sta finendo.
E’
sconvolto.
Non
capiscono – si dice – saranno distrutti!
-Devono capire,
o saranno distrutti, non posso rassegnarmi-
Ma A e
Zeta sanno le cose, le conoscono meglio
di Martin.
Sono loro
che adesso devono dire. E chiedono a Martin di ascoltare.
A: non ci
sono.
Martin: chi?
A chi ti riferisci?
Zeta: a tutti, Martin. Tu non stai perdendo nessun
potere.
Martin: vi
state prendendo gioco di me. E’ crudele.
A: non è un
gioco. Se lo è, si tratta di un gioco molto serio. Non c’è nessuno che ti può
togliere i poteri , perché non c’è nessuno che te li ha dati.
Ci sei solo
tu Martin.
Zeta : e non ci siamo neanche noi,eri solo, avevi
dentro tanto amore e ci hai partorito. Per amore. Tu ci hai inventato per
questo.
A e Zeta non
hanno mai parlato tanto, ma devono ancora dire. Martin ingoia lacrime
incredulo.
Martin: e i
Perfetti?
Zeta : I
Perfetti sono come noi, ombre nel sogno. E così il Bosco Azzurro, la fonte, il
cerchio, le porte. La tua solitudine è Perfetta. Non ci sei che tu e il tuo
potere rimane intatto. E’ l’amore caro Martin il tuo vero potere, il tuo amore
che ci ha voluto.
Martin:
allora sono solo?
A: dipende
da te.
Martin crede
d’impazzire, non vorrebbe fare più domande perché non sa immaginare più
risposte. Nulla è cambiato, pure ogni cosa gli appare tremendamente diversa. E’
solo con il suo mondo che contiene tutti i mondi e tutto è compreso dentro il
niente e tutto accade senza cambiare niente. Solo! Sì, solo. Ma quante
emozioni! Cosa sono tutte queste emozioni? Cosa sono ,dunque? Niente?
No, Martin
non si rassegna. Sa che il Tempo siede sul suo trono e dice parole come:
sempre, mai, domani, oggi, ieri, morte, vita. E allora si dice che può. Può far
finta di niente e continuare.
Salverà i
suoi ragazzi, li renderà intoccabili cedendo loro il suo posto, darà loro tutte
le chiavi.
Saranno
bravi custodi, chi meglio di loro? Conoscono
bene i Perfetti,sanno vedere le cose con occhi giusti.
Sì, saranno
i nuovi custodi, i nuovi eletti.
E poiché
ogni cosa è stata generata dalla sua mente, ora deve scomparire. Deve tagliare
il cordone ombelicale e lasciar vivere i protagonisti della storia.
Senza
indugiare si allontana dalla spiaggia, dal mare e dal sole. Entra nel bosco, va
verso la fonte. Che pare attenderlo.
Io lo saluto
il mio Martin e non gli sto a dire che
un giorno, ascoltando una canzone, dentro un ufficio/magazzino, siccome non
c’erano clienti e mi annoiavo un po’,ho inventato una storia: l’ho inventato.
Ma la
canzone di Guccini resta:
Immagina i
frutti, immagina,i fiori, e la natura di mille colori …
E, per me,
resti anche tu Martin, il custode dei miei personaggi.
LETTERA A
MARTIN
Mio caro Martin
Questa mia lettera non ti sarà mai consegnata. La scrivo per me,
un po’ anche per la mia storia. Che poi è la tua storia. Quando tu sei andato
via, niente di quello che credevi accadesse si è avverato. Con quale cuore
potrei fartelo sapere? Ti ricordi del tuo atto generoso di rinuncia in favore
dei ragazzi che amavi tanto? Bé, lo hai fatto inutilmente. La fonte era
l’ultima porta, la principale: l’avresti mai creduto? Quella porta faceva da
ponte con tutti i mondi possibili. Ingoiando te, ha poi fatto sparire la grande
quercia,il bosco azzurro,i Perfetti, le porte tutte ,e,infine, anche i nostri
ragazzi. Le ombre sono tornate con le ombre,nel loro mondo senza tempo. Per
sempre ricongiunte con te. La mia vita invece è andata cambiando: in bene e in
male. Ah! Non lavoro più in quell’ufficio /magazzino: Vedi?La stabilità è una
caratteristica solo delle ombre che non sono e, proprio per questo, non si
modificano. Bisognerebbe tenerne conto quando si costruiscono i fantasmi.
Bisogna seguire un’etica. Perché se io sono reale e le mie ferite sanguinano e
la mia voce si sente e il mio respiro è caldo e se dò baci sento il contatto e
se guardo i miei occhi si riempiono del mondo, io sono reale solo ora, in
questo momento, ed è un momento che non ha spessore, talmente sottile che non
si può misurare e la mia realtà è in così gran movimento che fugge l’esistenza.
Ma i fantasmi che posso immaginare non sono e quindi non possono andare via,
resistono ad ogni tempo, resistono al tempo stesso. Come i personaggi della mia
storia che non esiste. Che però non esiste solo fino ad un certo punto. Perché
accade come quando si sogna e le cose sognate sono ombre, ma le ombre siamo noi
riflessi in mille specchi, e noi siamo i fantasmi che hanno preso vita, noi
siamo i mostri e le belle visioni, nostra è la paura, nostra la gioia.
Penso che tornerò presto da te, nel tuo mondo. Adesso solo questo
mi dà pace e senso. Quello che mi sconcerta è che anche le mie emozioni
scaturiscono dalle ombre e non capisco come riescano a partorire sensazioni
così reali.
Dov’è l’errore? Perché le ombre non solo interagiscono con la vita
reale, ma a volte si combinano tra loro ingigantendosi e tornano di nuovo a noi
come una tormenta? Sapresti dirmelo? No, non ti cercherò per avere una
risposta.
Verrò da te perché amo la
fantasia. Ti chiederò ancora di custodire i miei personaggi. Tienili con te.
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