UN
AMORE DI... VINO (racconto terzo classificato al concorso " Giallo in cantina)
“Era
ora che si accorgesse di me signor commissario !
Il mio nome è Evaristo e sono al servizio della famiglia Braccolini da quasi quarant’anni, da quando ancora c’era il signor Conte. Sono il maggiordomo.
Volete sapere com’è andata? Bene, vi narrerò la mia versione.
Il mio nome è Evaristo e sono al servizio della famiglia Braccolini da quasi quarant’anni, da quando ancora c’era il signor Conte. Sono il maggiordomo.
Volete sapere com’è andata? Bene, vi narrerò la mia versione.
C’era
gente a cena ieri sera, gente importante, come vi avranno già detto.
Si festeggiava il quarantesimo compleanno della signora.
Una cena intima, solo per
i parenti e gli amici più intimi. La signora non ama gli sfarzi. Ma
era un compleanno da festeggiare, finalmente nella famiglia
Braccolini era tornato il sereno!
Tutto
pareva tranquillo, pure la tempesta del giorno prima si era placata.
Gli
invitati parlavano con garbo e quasi sottovoce, eleganti e pronti a
gustare i cibi raffinati, le prelibatezze che già si annunciavano
tali dal profumo delicato che proveniva dalla cucina.
Si
accomodarono intorno alla lunga tavola ovale, bellamente
apparecchiata.
Non
c'erano bimbi, quella cena sarebbe durata fino a notte inoltrata e
non era il caso di trattenerli.
Io
ero preoccupato, la signora mi aveva dato personalmente la lista dei
vini da portare a tavola e le indicazioni di quando servirli e quali
bicchieri usare. Si era anche raccomandata - Si ricordi bene
Evaristo, il primo assaggio va fatto dal padrone di casa! Si ricordi,
serva pure il conte per prima, poi attenda il suo gesto prima di
continuare. Non lo dimentichi!-
Andai
a prenderli personalmente nelle cantine. Erano vini d’annata,
produzione della famiglia, coinvolta da decenni nella coltura e
lavorazione delle uve, come ben lei saprà. Alta qualità non c’è
che dire. E per un evento importante, vini importanti. Uno in
particolare mi colpì: datato 1997, vigneto Braccolini, rosato,
cimelio di famiglia. La bottiglia la prelevai intatta, con la sua
copertura polverosa, alle diciannove in punto, e la stappai un’ora
prima di essere servita, alle venti.
Ora
lei, signor commissario, si starà chiedendo se qualcuno ha avuto
modo di avvicinarsi a quella bottiglia. Le assicuro di no. Sono io
l’unico a essersene occupato, l’unico ad averla toccata. Mi rendo
conto, lo so, che questo fa di me il sospettato per eccellenza; e
forse non a torto.
Ma
le giuro! Io sono innocente.
Quando
fu servita la faraona al forno, io stesso presi la bottiglia stappata
e la versai al conte. Non dimenticherò mai quel momento.
Ricordo
che prese il bicchiere, sorseggiò con garbo e, mentre io aspettavo
il suo cenno per continuare e servire la signora contessa, vidi la
sua espressione diventare un ghigno, poi si contorse e cadde riverso
sul tavolo facendo cadere posate e bicchieri. Morto. Era morto!
Ma
chi poteva aver voluto la sua morte? La moglie che lo aveva
accompagnato per mesi da un ospedale all'altro, consumandosi di
dolore per quella strana malattia che lo debilitava? CHI?
Tutti
lo amavano e, quando si seppe guarito, il cuore si riempì di gioia a
chiunque l'avesse conosciuto. Al figlio adottato, al socio che gli
era quasi fratello, agli amici che gli erano fidati perché era
sempre sincero e generoso. CHI?
Però
io avevo scoperto un segreto, non volendo avevo sentito un discorso
tra il conte e la contessa che ... ecco io giurai di portare con me
nella tomba... ma ora...ora mi sento costretto a rinnegare il mio
giuramento e Dio mi perdoni, ma vi dirò la verità.
Una
sera, mentre servivo la camomilla in camera alla signora contessa, la
sentii piangere e mi fermai fuori dalla porta. Il signor conte
parlava di certi problemi, intimi, mi capisce signor commissario, e
di quanto lui si sentisse frustrato e inadeguato dopo la lunga
malattia e, insomma, voleva farla finita. Poi il tono delle voci si
abbassò e non sentii più niente; bussai, servii la camomilla e
tornai alle mie faccende cercando di dimenticarmi dell’accaduto.
Nei
giorni successivi notai la morbosità con la quale la signora
contessa seguiva il marito in ogni suo spostamento: lo accompagnava
ovunque, a tavola lo serviva personalmente, spesso compariva in
cucina a controllare non si sa bene cosa.
Raramente
il signor conte riusciva a sottrarsi all’attenzione della moglie,
rifugiandosi nelle cantine; e di ciò sono complice io, in quanto mi
chiedeva di coprirlo.
Non
sapevo cosa facesse. Ora lo so. L’ultima raccomandazione del
signore fu –fai tutto ciò che ti dice di fare mia moglie- e così
ho fatto.
Ora, mi creda signor commissario, non c’è mai stato nessuno screzio fra il signor conte e il resto della società e credo che l’orgoglio e la dignità di una persona chiedano discrezione.
-Sì, ma qua si tratta di omicidio signor Evaristo !-
No, signor commissario, si tratta di amore…"
Ora, mi creda signor commissario, non c’è mai stato nessuno screzio fra il signor conte e il resto della società e credo che l’orgoglio e la dignità di una persona chiedano discrezione.
-Sì, ma qua si tratta di omicidio signor Evaristo !-
No, signor commissario, si tratta di amore…"
Io
sono Evaristo, il maggiordomo della famiglia Braccolini. Finalmente
ho detto la "mia" verità sulla morte del conte.
Nessuno
pagherà per la sua fine pietosa. Neanche la signora contessa, che
porta dentro la sua anima un grande peso, il suo ultimo atto d'amore.
Come
il mio. Inconfessato. Inconfessabile.
(Cecilia Bonazzi e Milvia Di Michele)
Brava MIl !!! :)
RispondiEliminaBrava Cè!
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