Vado
a Gerusalemme ( atto unico)
(Una stanza anonima, semivuota, un tavolo di legno massiccio al centro, forse siamo in uno studio, un ufficio. Il riflettore illumina
la figura di una donna vestita di scuro, in piedi, sul lato sinistro del
palcoscenico.
…………...
(donna nera
)- Com’era? … Vado a Gerusalemme senza ridere e senza
piangere.
E
restavamo seri lungo tutto il cammino. A piedi o con una gamba sola, magari in
ginocchio, secondo le penitenze che ognuno di noi aveva
accumulato.
…
Giochi di bimbi!
E
tu, Gerusalemme, dove sei?
Ancora
non ti ho vista. Pure ho imparato a non ridere e non piangere.
Ma
quando ti vedrò?
Giocavamo
… e intanto imparavamo, senza saperlo, a essere adulti.
Non
come avremmo desiderato, ma come gli altri volevano
diventassimo.
Ho
voglia di piangere e ridere … per tutte le lacrime mai versate, per le tante
risate trattenute.
Follia!
… Ma non è già follia questo parlarmi come fossi un’altra? Questo ascoltarmi
inutile?
Oh!
Potessi entrare nei pensieri muti di coloro che mi camminano
accanto!
Chissà
cosa dicono! Magari le mie stesse parole.
E
camminiamo vicini l’un l’altro, vivi dentro, ma comunicandoci il
niente.
Sto
registrando le mie parole, è come mi ascoltasse qualcuno …
Vado
a Gerusalemme …
E
tu, Gerusalemme, dove sei?
…………..
il riflettore si sposta
sul lato destro del palcoscenico, in piedi,una donna vestita di bianco
. Le due figure resteranno separate fino alla fine,
cucirà i loro monologhi, un fascio di luce che le illuminerà
alternativamente
…………….
(
donna bianca)- Ho ascoltato la tua registrazione, è stato un caso, io non ti
conosco.
Né
voglio conoscerti: romperei la magia.
Tu
ascolta la mia.
La
tua voglia di comunicare mi ha partorito.
Io
sono una delle persone che ti camminano accanto. E cerco Gerusalemme
anch’io.
A
volte mi sembra di vederla dentro risa di bimbi. Altre immedesimandomi in chi
soffre, quasi cercando le radici più profonde del loro dolore.
Perché
lì, all’origine, ci sono anch’io.
Ma
sono attimi, piccoli momenti … e tu?
……………
(donna nera
)- Dunque mi hai ascoltata. E’ strano come non provi meraviglia. Questo non
cambia niente. O forse molto. Ma hai ragione, non serve conoscerci, non la
nostra immagine. Non so se ho voglia di dirti i miei pensieri. Tu mi poni dei
problemi. La tua esistenza mi obbliga a uscire da me stessa.
Potrei
dirti i miei sentimenti, ma fingerei abbellendoli.
Vedi
che non esiste possibilità di comunicare?
Pure
vorrei tanto mantenere questo filo che, senza averlo voluto, ormai a te mi
unisce.
…………
(
donna bianca) – Eccomi di nuovo a te.
Già
imparo a conoscerti e riconoscerti.
Lascia
la tua paura di rappresentarti, non occorre farlo.
Basta
sapere che vuoi essere ascoltata e che mi ascolti.
Ti
dirò io di me e dei miei sogni e della mia voglia di esserci.
Sempre.
Non
importa dove e come. Io so di esistere e questo mi piace
molto.
Tocco
il mio corpo, gli oggetti, gli animali, e la terra, e l’erba.
Respiro
aria di mare e guardo, fino a saziarmi, tutto quello che i miei occhi possono
vedere.
Mi
è preziosa ogni cosa e m’incanta il loro continuo cambiare. Resterei ore così,
ferma a osservare. Forse anche per sempre.
Senza
annoiarmi mai.
Sai,
salendo ho incontrato un bambino. Ho ancora negli occhi la sua immagine
rubata. Lo faccio sempre. Rubo visi, colori, forme. Rubo rumori stridenti e
malinconiche melodie. Rubo il calore di una mano o un profumo che mi arriva
dentro, all’improvviso.
Una
ladra? Che importa! Raccolgo ciò che si perde, e ne resta sempre per
tutti.
……….
(donna nera
)- Ciao, ti ho ascoltata. Interessanti le tue ultime frasi: hai rubato
qualcosa per me?
Io
conosco soprattutto il grigio e la fatica di far tacere il
cuore.
Ho
paura di farmi male. Non posso guardare altrove, devo badare dove metto i
piedi. Camminando potrei inciampare: non credi?
Pure
mi prende il tuo modo di amare la vita.
Potrei
provare anch’io …
Ma
... tu fingi!
Reciti
una parte già scritta … o te la sei scritta da sola?
E
tuttavia non mi spiego perché voglio continuare a giocare con
te.
Anzi,
lo so bene: per non annoiarmi, per non sentirmi più sola.
Non
mi piace tutto questo. E nemmeno mi piaccio io.
E
tu, ti piaci?
……………
(donna
bianca)- Oh! Non m’importa di piacermi.
A
me piacciono le stelle in cielo quando la notte è serena, i colori che hanno
le foglie durante la stagione autunnale, lo sguardo acuto di un’artista che
canta la sua ultima canzone. Ma la ballata è sempre la stessa e forse è anche
un po’ la mia.
Mi
piace parlare d’amore e rido delle facce importanti che dicono e dicono, e
dicono … e intanto con gli occhi vanno cercando un sorriso di donna, uno
sguardo, un messaggio nascosto.
E
tu: cosa dici? Anche tu ti nascondi dietro parole?
………….
(donna nera
)- Io vorrei non parlare. Forse sorridere appena, solo per tenere gli
altri buoni.
Non
voglio nemici. Ma non ho amici.
Pure
mi sento struggere, tanta è la voglia di averli.
A
volte provo a farmeli, ma troppo timidamente. Altre invece fingo una
disinvoltura che pare proprio la mia.
Poi,
improvvisamente, mi arrotolo di nuovo tra le spine e sto lì, con il fiato
sospeso, fino a che l’altro scompare.
Me
ne viene voglia adesso: scompari.. ti prego!
………..
(
donna bianca)- Di che cosa hai paura? Di una voce?
Ascolta,
allora, il silenzio. Senti? Io già non parlo più.
……………..
(donna nera
)- No, non svanire! Vedi? Già puoi farmi male!
Questo
vuoto che mi lasci, prima di iniziare ad ascoltarti, non c’era. Non poteva
esserci.
Ora,
quando torno dentro questa stanza, il mio primo pensiero è accendere il
registratore. Ma tu puoi andare e venire. Mi ascolti? Non lasciarmi più
sola!
……….
(
donna bianca)- Calma, ci sono ancora. Non potrai più liberarti i
me.
Ascolta
… ascolta …
Ti
recito una cantilena. Me la cantava la mamma, o la nonna.
Me
la cantava una donna.
Lunghe
le ombre della sera
quando
io ti stringo a me,
lunga è
questa cantilena,
che
ti culla, figlia del re.
Lungo
il sonno, che ti porta.
Lunga è
la vita.
Lunga è
la morte.
………..
(
donna nera)-La vita ... la morte …
Che
nome ha la tua Gerusalemme?
La
mia, più la cerco, più non c’è.
Sono
come il cieco che cerca la luce o il sordo il suono
e
il muto la voce.
Sono
come il vivo che cerca la morte.
Pure
non rido e non piango.
Senti
forse tremare la mia voce? La senti forse squillante?
Io
sono saggia, perché bisogna esserlo.
Me
l’hanno insegnato da sempre.
E
accetto quello che la vita mi dà e non mi lamento.
………….
(donna
bianca) E non ti lamenti!
Dici:
mi manca. E questo, e quello. Mi manca.
Non
sono questi … lamenti?
Ascolta!
… Il tuo gioco era sbagliato … è sbagliato!
La
mia Gerusalemme è piena di palpiti, è viva.
Dentro
le sue mura ci sono risa e allegria, c’è passione.
Ci
sono anche lacrime, è vero: che altro puoi fare se il cuore ti
duole?
Pure
neanche io l’ho trovata!
Pure,
non la cerco solo al buio.
…………….
…………….
( donna nera) Questo è un addio, l’ultima registrazione …
Perché?
… Ti racconto: stanotte ho sognato la nebbia. Io c’ero dentro e, come in un film, mi
sono vista andare incontro a un volto che sapevo essere il
tuo.
Davanti
a me scorgevo, di lontano, uno specchio che pareva enorme.
Procedevo
impaurita, presagendo.
Mi
ci sono fermata di fronte.
-Come
ti chiami?- Ho chiesto al tuo viso.
Ha
risposto- ho il tuo nome anch’io-
E
adesso ho paura, paura di sapere già chi sei.
…………..
Vado
a Gerusalemme:
e
tu, Gerusalemme: dove sei?(Donna bianca)
-
e tu, Gerusalemme, dove sei?( Donna nera)
Si
spengono le luci e infine si riaccendono sul palcoscenico vuoto. Sul grande tavolo un piccolo registratore.
Nessun commento:
Posta un commento