Cerca nel blog

giovedì 20 novembre 2014

CHE BELLA, L'ESTATE!






CHE BELLA , l'ESTATE!





Che bella, l'estate!
Riscalda non solo la pelle, anche i pensieri e i sentimenti...vero Cè?
Si sta bene qui fuori, a mangiare all'aperto, anche se davanti casa mia è ancora tutto da accomodare e le sedie e i tavolini sono precari e un po' scoloriti. Ma forse ha il suo fascino questa non perfezione d'accoglienza... dimmi di sì Cè...dimmi di sì.
Gli arrosticini erano ottimi, ma tu sei vegetariana... ieri gli gnocchi erano scotti, ma a te piacevano...cos'è allora LA PERFEZIONE?
(Ridi, e m'ascolti...sai ascoltare tu, amica mia conosciuta prima virtualmente e ora qui, nella mia casa d'Abruzzo, in carne ed ossa ( più ossa che carne) ...con tuo marito e tua figlia. E' come se mi conoscessi da sempre, indovini di me fragilità antiche scrutandone le tracce nei miei gesti goffi, sai che ora ho una forza che m'è nata dentro... ma quanto m'è costata! Un'imprevedibile forza insospettabile e insospettata da tutti.

Improvvisamente, forse complice l'aver bevuto un buon bicchiere di Montepulciano d'Abruzzo, ho voglia di raccontarti il mio segreto... o almeno aprirmi un poco per farti vedere il mio cambiamento.
-Cè... sai che una volta ero una buona a nulla?-
Ridendo mi sfotti...- perchè...invece ora?



-Le cose cambiano. O forse siamo noi a cambiare e con noi il nostro punto di vista sulle cose. Questione di ottica, istinto di sopravvivenza. Se vogliamo che qualcosa cambi, dobbiamo essere noi a cambiarle, altrimenti è tutto come prima-



I miei pensieri prendono voce e forse interrompo il tuo aprirti. Sì, il fascino della perfezione sta nella non perfezione. Come noi. Ci crediamo perfetti fino a quando scivoliamo in un baratro che sembra infinito e sentiamo un mostro che ci divora da dentro per quell’unico madornale errore … che poi, se ci pensi, sono tanti gli errori, quanti sono i giorni e le ore vissuti fin qua, ma quando tocchi il fondo, ecco, quello è il momento in cui devi reagire, fare quel famoso salto che ti tira fuori; un colpo di reni. È il momento della non perfezione che coincide con la perfezione, è il momento in cui i due estremi sono uno. Lo so, lo so...sto filosofeggiando; come al solito, per prendere tempo. Non è facile ascoltare qualcuno che si apre. Perché … Perché devi ascoltare anche te stesso. Me stessa, in questo caso, le mie paure, la mia rabbia, la mia meschinità; la mia fragilità.



-Come siamo pesanti Cè!

Forse hanno ragione le mie figlie, mi dicono che rumino sempre ipotesi e poi siglo tutto... tremendi i figli, giudici severi!...Ma ho dovuto imparare a ridere con loro di me, o almeno a provarci o a far finta.

Però c'è stato un momento in cui non ho pensato e né ragionato, ho saltato nel buio, dovevo farlo e l'ho fatto, giusto o sbagliato che fosse.

E tutto questo dopo essermi sentita come paralizzata, bloccata per la disperazione, con le gambe di cemento e senza più sangue nelle vene .T'ho detto che eravamo in bilico tra tragedia e normalità, tra follia e vita razionale, fermi su di un fragile filo sospeso sul vuoto, trattenendo il respiro-

-Mi hai raccontato...brutta bestia la depressione!-

-Sì, ma finchè non accadeva nulla, si poteva solo tremare, solo disperare.

Poi quella minaccia fece crescere l'angoscia, non farmelo raccontare, mi fa ancora male. Tutto m'apparve perduto...tutto sarebbe stato perduto se ... ho toccato il pericolo quasi con le mani. Mara era tornata a dormire...per cento anni? Terribile non poter sapere nemmeno questo, forse avremmo potuto aspettare per sempre. Non so dirti quanto sia atroce l'attesa senza fine. Di nuovo aspettare senza speranza, come tante altre volte,e poi magari tornare a fare le salite e poi ancora i precipizi, e ogni volta sentire maggiore fatica nell' arrampicarsi ferendosi e sanguinando, pensando ...- Fino a quando ce la faremo?



- Ma che magnifica sera!...Com'è bello che sia tutto passato!.



Ora possiamo parlarne. E magari riderne. Sì, è bello che sia tutto passato. E forse che ci sia stato. Che ci abbia permesso di arrivare fin qua, così come siamo. Chi lo sa.

Mi distraggo a guardare le stelle di questa magnifica serata abruzzese. Da noi non si vedono così bene; troppo l’inquinamento luminoso; troppo l’inquinamento in genere.

Ed anch’io mi sento così: inquinata.

Ho sempre considerato il mio sentire meno importante rispetto a quello altrui. Ma mi rendo conto che, a volte, occorre fare un passo per mostrarsi, per lasciare che l’altro si specchi in te.

-Sai Mil … ero molto arrabbiata con mio padre e solo dopo anni ho capito che la rabbia non era mia. Ma quel giorno lo ero molto; tanto che non lo salutai quando uscì di casa per andare la lavoro, non risposi al suo saluto. E non tornò più. Morì d’infarto quel giorno, a lavorare. Aveva quarantaquattro anni. Io quasi venti. Non pensai al mio dolore: c’era mia sorella di undici anni più piccola di me da proteggere, da accudire. Poi c’era mia madre. Mi caricai sulle spalle tutto. Ero l’ombra di mia madre e di mia sorella. guidai io il giorno del funerale, fino a Bologna dove venne cremato; il primo ad essere cremato nel nostro piccolo comune. E guidai sempre io per tornare a casa, con la celletta cinerari sulle gambe di mia madre. Dopo un mese un enorme mal di testa mi stese per due settimane: il medico mi mandò a fare l’elettroencefalogramma temendo fosse una meningite-.

Rido. E guardo il cielo pieno di stelle. Ho imparato a ridere di me, a sdrammatizzare i miei dubbi, i miei dolori, le mie ansie.Ho imparato a salutare tutti, anche chi mi è antipatico.

E quando la mia migliore amica smise di salutarmi di colpo da un giorno all’altro, ci rimasi molto male. Non capivo il motivo e nemmeno lei me lo disse nonostante il mio chiedere spiegazioni –Tu non centri, ma devi capire-.

Non ho mai capito che cosa dovevo capire. O forse sì. Ma ormai non ha più importanza.




-Tu devi sempre capire!- rido io esclamando- Che Cecilia saresti mai?..Questo è il tuo destino Cè!-

Mi fai la linguaccia, mi sei simpatica quando giochi e fai le facce o dai giù di brutto con la tua ironia, dissacrando lacrime e tragedie quasi sempre esagerate. Vivere è cosa seria, è vero, ma non una sceneggiata.

-Cè... io non mi arresi...il mio corpo voleva arrendersi, ma io fui più forte.-

Sento d'esserti simpatica anch'io quando mi comporto così, quando invento soluzioni a dispetto di attese nefaste.

-In che modo?...In che modo Mil?-

-Capii che il male aveva delle mura, si era barricato da noi e circolava dentro la nostra casa.Fu un lampo geniale, comprendendolo realizzai che dovevamo lasciarle quelle mura, andare dovunque pur di abbandonarle. Coinvolsi mio marito, i suoi amici,i parenti.Dovevo trovare un luogo dove portarla, dove spostare Mara.

E naturalmente lo trovammo...una casupola in un paesino di montagna, abbandonata, ma con ogni comodità, da pulire e sistemare, ma bellissima e con una veduta sulle montagne da mozzafiato.Un salto nel buio? Forse.Noi lo vivemmo come un salto nell'altrove, un ignoto amico, tutto da costruire, senza passato, una rinascita.

E davvero rinascemmo insieme, io la partorii di nuovo e poi me ne distaccai lentamente mentre la guardavo imparare a camminare da sola.Furono mesi di sentieri percorsi insieme, di urla e poi risate, di litigate e di abbracci. E ogni giorno lentamente divaricavamo le nostre strade, sempre attenta, io, alle sue forze, con il cuore impazzito di battiti, con la speranza...la speranza...Quel buio Cè forse ci attendeva da sempre, era popolato di nuovi amici, di calore, di semplicità. Il distacco dal dolore avvenne senza fare rumore, piano piano, giorno dopo giorno. Cè... quel salto fu un atto di fiducia, un avere fede, fu cambiare le cose.

-Sì, è così- mi sorprendo a dire queste semplici parole, quasi come un automa. Percepisco il tuo dolore che ancora si annida dentro; quel mostro che ti guarda dal baratro e che con gelido sadismo ti tiene sulla graticola. Un elastico che ti permette di allontanarti, ma non troppo.

-Sì, è così. I figli ti stravolgono la vita e ti rivoltano come un calzino. Ma tu per i figli sei pronta a stravolgere la tua vita e a rivoltarla come un calzino-.

Quante sciocchezze dico; e quante ne so dire !

Però sì, è cosi: per loro fai un salto vertiginoso, perché tu sei il loro esempio e loro ti osservano con occhi attenti. Non puoi sbagliare. Loro, loro e ancora loro !

Il mio salto lo feci andando a prendere Lulù nel suo paese, lontano mezzo mondo. dodici ore di volo, cinque di auto; una lingua straniera, una città con più di ventidue milioni di abitanti, noi che veniamo da un piccolo paese della pianura con poco più di cinquemila anime. Ma non importa: se ti devi lanciare ti lanci e basta ! Nessun ripensamento, nessun –Oh, cazzo, forse ho sbagliato!- No, vai e basta e quando sei là, straniero in terra straniera e devi vivere la vita di tutti i giorni, beh, amen ! Come dici tu, cara amica mia …

Deve essere stato un bel salto anche per lei. Un salto nella fiducia. Nel doversi affidare a tutti i costi. Nel volersi affidare. Altrimenti perché ? Che senso avrebbe ?

-Sai Mil, lo sai cosa mi chiese Lulù dopo mezz’ora che era con noi, in tribunale aspettando la pratica di “consegna” ? Mi chiese:“Posso chiamarvi mamma e papà?”. Certo che puoi, le risposi in un portoghese da autodidatta; puoi chiamarci come preferisci, come ti fa più piacere. E da allora ci ha sempre chiamati così, mamma e papà. Ci ha insegnato la fiducia. Ho imparato. Mi ha salvata dal mio degrado, dalla mia rigidità; dai miei silenzi. Le devo la vita. Tu lo capisci, vero ? Per lei sono scesa nelle profondità più oscure di me. Un salto nel buio e uno nel vuoto. Senza protezioni senza paracadute. Un bunjing jumping senza elastico. Per poi risalire e conquistare non la vetta, ma qualcosa di più prezioso: me stessa-.

Noi genitori siamo un esempio, sì; ma che esempio siamo quando commettiamo errori, quando siamo stravolti dalla stanchezza o massacrati dalla cattiveria. Me lo sono chiesta un giorno, forse il peggiore della mia vita. Mi aggiravo per casa nella più totale assenza, in loop; avevo uno straccio in una mano ed un cutter nell’altra. Non capivo più niente. Piangevo a dirotto; quasi non respiravo. ...Che esempio sono per lei, che esempio sono ?...Il lavoro mi aveva sfiancata, ma più di tutto due colleghe, stronze fino all’osso, che da anni mi perseguitavano, che mi avevano portata a quel punto. Al punto di non sapere più, di non conoscere né riconoscere; al punto in cui quel mostro mi tratteneva forte e con disprezzo tra i suoi artigli e mi divorava pian piano partendo dalla testa. “Che esempio sono ?” continuavo a ripetermi. Mi vergognavo di me stessa, mi disprezzavo, non mi riconoscevo più, non mi volevo più. Mi odiavo. Non so quanto tempo passai. Forse dieci minuti. Forse mezz’ora. Forse un’ora. Il tempo non esisteva più … io non esistevo più. Recidere ogni legame col dolore, con la sofferenza; con la vergogna di essere lì. ...Che esempio sono per lei ? … Che esempio sono per mia figlia se mi tolgo la vita ? ...Un attimo. In una frazione di secondo si capovolse tutto. Si capovolse il significato di “che esempio sono per lei”, un clik ! e si accende la luce. Quella frazione di secondo in cui superi la paura della vertigine e ti butti. È quella frazione di secondo che fa la differenza fra una vita e la successiva.. la differenza fra sopravvivere e vivere.

La vertigine non è paura di cadere ma paura di volare” canta Jovanotti ….

Non riesco ancora a dar voce a questo racconto, mi gira nella mia mente, ora più serena. Lo tengo per me, guardando il cielo stellato. Ma vorrei parlartene un giorno. E allora, quello, sarà un bellissimo giorno.



-Cè...questa sera è bellissima!...Bella l'estate!



MILCE

(Milvia Di Michele e Cecilia Bonazzi)




Nessun commento:

Posta un commento