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sabato 23 febbraio 2013

Vado a Gerusalemme ( atto unico)




 
 
 
 
                                      Vado a Gerusalemme ( atto unico)



(Una stanza anonima, semivuota, un tavolo di legno massiccio al centro, forse siamo in uno studio, un ufficio.  Il riflettore illumina la figura di una donna vestita di scuro, in piedi, sul lato sinistro del palcoscenico.

…………...
(donna nera )- Com’era? … Vado a Gerusalemme senza ridere e senza piangere.
E restavamo seri lungo tutto il cammino. A piedi o con una gamba sola, magari in ginocchio, secondo le penitenze che ognuno di noi aveva accumulato.
… Giochi di bimbi!
E tu, Gerusalemme, dove sei?
Ancora non ti ho vista. Pure ho imparato a non ridere e non piangere.
Ma quando ti vedrò?
Giocavamo … e intanto imparavamo, senza saperlo, a essere adulti.
Non come avremmo desiderato, ma come gli altri volevano diventassimo.
Ho voglia di piangere e ridere … per tutte le lacrime mai versate, per le tante risate trattenute.
Follia! … Ma non è già follia questo parlarmi come fossi un’altra? Questo ascoltarmi inutile?
Oh! Potessi entrare nei pensieri muti di coloro che mi camminano accanto!
Chissà cosa dicono! Magari le mie stesse parole.
E camminiamo  vicini l’un l’altro, vivi dentro, ma comunicandoci il niente.

Sto registrando le mie parole, è come mi ascoltasse qualcuno …
Vado a Gerusalemme …
E tu, Gerusalemme, dove sei?
…………..
 
 il riflettore si sposta sul lato destro del palcoscenico, in piedi,una donna vestita di bianco . Le due figure resteranno separate fino alla fine, cucirà i loro monologhi, un fascio di luce che le illuminerà alternativamente


…………….
( donna bianca)- Ho ascoltato la tua registrazione, è stato un caso, io non ti conosco.
Né voglio conoscerti: romperei la magia.
Tu ascolta la mia.
La tua voglia di comunicare mi ha partorito.
Io sono una delle persone che ti camminano accanto. E cerco Gerusalemme anch’io.
A volte mi sembra di vederla dentro risa di bimbi. Altre immedesimandomi in chi soffre, quasi cercando le radici più profonde del loro dolore.
Perché lì, all’origine, ci sono anch’io.
Ma sono attimi, piccoli momenti … e tu?
……………
 
(donna nera )- Dunque mi hai ascoltata. E’ strano come non provi meraviglia. Questo non cambia niente. O forse molto. Ma hai ragione, non serve conoscerci, non la nostra immagine. Non so se ho voglia di dirti i miei pensieri. Tu mi poni dei problemi. La tua esistenza mi obbliga a uscire da me stessa.
Potrei dirti i miei sentimenti, ma fingerei abbellendoli.
Vedi che non esiste possibilità di comunicare?
Pure vorrei tanto mantenere questo filo che, senza averlo voluto, ormai a te mi unisce.
…………
 
( donna bianca) – Eccomi di nuovo a te.
Già imparo a conoscerti e riconoscerti.
Lascia la tua paura di rappresentarti, non occorre farlo.
Basta sapere che vuoi essere ascoltata e che mi ascolti.
Ti dirò io di me e dei miei sogni e della mia voglia di esserci. Sempre.
Non importa dove e come. Io so di esistere e questo mi piace molto.
Tocco il mio corpo, gli oggetti, gli animali, e la terra, e l’erba.
Respiro aria di mare e guardo, fino a saziarmi, tutto quello che i miei occhi possono vedere.
Mi è preziosa ogni cosa e m’incanta il loro continuo cambiare. Resterei ore così, ferma a osservare. Forse anche per sempre.
Senza annoiarmi mai.
Sai, salendo ho incontrato un bambino. Ho ancora negli occhi la sua immagine rubata. Lo faccio sempre. Rubo visi, colori, forme. Rubo rumori stridenti e malinconiche melodie. Rubo il calore di una mano o un profumo che mi arriva dentro, all’improvviso.
Una ladra? Che importa! Raccolgo ciò che si perde, e ne resta sempre per tutti.
……….
 
(donna nera )- Ciao, ti ho ascoltata. Interessanti le tue ultime frasi: hai rubato qualcosa per me?
Io conosco soprattutto il grigio e la fatica di far tacere il cuore.
Ho paura di farmi male. Non posso guardare altrove, devo badare dove metto i piedi. Camminando potrei inciampare: non credi?
Pure mi prende il tuo modo di amare la vita.
Potrei provare anch’io …
Ma ... tu fingi!
Reciti una parte già scritta … o te la sei scritta da sola?
E tuttavia non mi spiego perché voglio continuare a giocare con te.
Anzi, lo so bene: per non annoiarmi, per non sentirmi più sola.
Non mi piace tutto questo. E nemmeno mi piaccio io.
E tu, ti piaci?
……………
 
(donna bianca)- Oh! Non m’importa di piacermi.
A me piacciono le stelle in cielo quando la notte è serena, i colori che hanno le foglie durante la stagione autunnale, lo sguardo acuto di un’artista che canta la sua ultima canzone. Ma la ballata è sempre la stessa e forse è anche un po’ la mia.
Mi piace parlare d’amore e rido delle facce importanti che dicono e dicono, e dicono … e intanto con gli occhi vanno cercando un sorriso di donna, uno sguardo, un messaggio nascosto.
E tu: cosa dici? Anche tu ti nascondi dietro parole?
………….
 
(donna nera )- Io vorrei non parlare. Forse sorridere appena, solo per tenere gli altri buoni.
Non voglio nemici. Ma non ho amici.
Pure mi sento struggere, tanta è la voglia di averli.
A volte provo a farmeli, ma troppo timidamente. Altre invece fingo una disinvoltura che pare proprio la mia.
Poi, improvvisamente, mi arrotolo di nuovo tra le spine e sto lì, con il fiato sospeso, fino a che l’altro scompare.
Me ne viene voglia adesso: scompari.. ti prego!
………..
 
( donna bianca)- Di che cosa hai paura? Di una voce?
Ascolta, allora, il silenzio. Senti? Io già non parlo più.
……………..
 
(donna nera )- No, non svanire! Vedi? Già puoi farmi male!
Questo vuoto che mi lasci, prima di iniziare ad ascoltarti, non c’era. Non poteva esserci.
Ora, quando torno dentro questa stanza, il mio primo pensiero è accendere il registratore. Ma tu puoi andare e venire. Mi ascolti? Non lasciarmi più sola!
……….
 
( donna bianca)- Calma, ci sono ancora. Non potrai più liberarti i me.
Ascolta … ascolta …
Ti recito una cantilena. Me la cantava la mamma, o la nonna.
Me la cantava una donna.

Lunghe le ombre della sera
quando io ti stringo a me,
lunga è questa cantilena,
che ti culla, figlia del re.
Lungo il sonno, che ti porta.
Lunga è la vita.
Lunga è la morte.
………..
 
( donna nera)-La vita ... la morte …
Che nome ha la tua Gerusalemme?
La mia, più la cerco, più non c’è.
Sono come il cieco che cerca la luce o il sordo il suono
e il muto la voce.
Sono come il vivo che cerca la morte.
Pure non rido e non piango.
Senti forse tremare la mia voce? La senti forse squillante?
Io sono saggia, perché bisogna esserlo.
Me l’hanno insegnato da sempre.
E accetto quello che la vita mi dà e non mi lamento.
………….
 
(donna bianca) E non ti lamenti!
Dici: mi manca. E questo, e quello. Mi manca.
Non sono questi … lamenti?
Ascolta! … Il tuo gioco era sbagliato … è sbagliato!
La mia Gerusalemme è piena di palpiti, è viva.
Dentro le sue mura ci sono risa e allegria, c’è passione.
Ci sono anche lacrime, è vero: che altro puoi fare se il cuore ti duole?
Pure neanche io l’ho trovata!
Pure, non la cerco solo al buio.
 …………….
 
( donna nera) Questo è un addio, l’ultima registrazione …
Perché? … Ti racconto: stanotte ho sognato la nebbia. Io c’ero dentro e, come in un film, mi sono vista andare incontro a un volto che sapevo essere il tuo.
Davanti a me scorgevo, di lontano, uno specchio che pareva enorme.
Procedevo impaurita, presagendo.
Mi ci sono fermata di fronte.
-Come ti chiami?- Ho chiesto al tuo viso.
Ha risposto- ho il tuo nome anch’io-
E adesso ho paura, paura di sapere già chi sei.
 …………..
 
Vado a Gerusalemme:
e tu, Gerusalemme: dove sei?(Donna bianca)
- e tu, Gerusalemme, dove sei?( Donna nera)
 
Si spengono le luci e infine si riaccendono sul palcoscenico vuoto. Sul grande tavolo un piccolo registratore.
 

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