Cerca nel blog

sabato 14 aprile 2012

CRONACA DI UN'ALIENAZIONE QUASI FELICE








PREMESSA
 
(  IMMAGINA I FRUTTI  IMMAGINA I FIORI ...E UNA STORIA CHE NASCE)
 
 
Radio accesa:" IMMAGINA I FRUTTI, IMMAGINA I FIORI..."
Canticchio anch'io " E LA NATURA DI MILLE COLORI... IL VECCHIO PARLAVA ..."
Mi piace questa canzone di Guccini. ( Altri tempi nella mente. Diciott'anni. Io, Tina e Nadia, il treno per Bologna, il convitto in via Zanolin, l'università, gli esami dati con passione. Una laurea mai presa. Eugenio che m'aspettava in paese e io che tornavo con il batticuore, almeno ogni venti giorni)
 
Il vecchio. Il suo passato è pieno di colori e di profumi. Di bellezza. Ma il suo presente è grigio, con amarezze e nostalgie. Gli appare desolato, senza futuro. Se non fosse per quel fragile filo di speranza legato al piccolo nipote, alla sua capacità di accogliere l'eredità di una stagione mai vissuta e conosciuta solo attraverso il racconto del nonno.
Sogno meraviglioso che mi piace credere infine realizzato. I tempi non sono ancora così lontani da disperare, lo sguardo del nonno contiene ancora ciò che ha visto e forse può essere recuperato.
 
Ma la storia che racconterò è un'altra. Sono stati disegnati molti archi di vita, si sono succedute moltissime generazioni. E il tempo ha ballato mille giri, e mille sono le creature che i loro passi hanno intrecciato. Intanto la nostra terra è diventata sempre più bella. Che cielo sopra di noi, che verde sulle colline, che fiori! E quanto azzurro  e infinitamente dolce è il mare!
Ma...
 
(Così inizia a prendere vita questa mia storia, la sto scrivendo da questo ufficio/magazzino, in cui lavoro senza infamia e senza lode.Ci sto più di quello che dovrei, per inventare e fantasticare su personaggi e fatti che qui dentro vanno prendendo forma... e intanto ascolto Guccini!)






 
CRONACA DI UNA ALIENAZIONE QUASI FELICE

Martin, ricordi?  Sei apparso nella mia vita con la storia di A e Zeta, da allora non ci siamo lasciati mai, cominciò così la mia felice alienazione:





IL MONDO DI A E ZETA



 
CAPITOLO I


Zeta: Che bella giornata!
A: Sì, finalmente fa caldo. Facciamo il bagno?
Zeta: Oh, sì!  (ridendo)
Zeta: Siamo soli. Che silenzio!
A: E’ il momento del Recupero. I Perfetti sono andati tutti. Vieni: tuffiamoci!
Loro conoscono intimamente il mare. Sanno della madre e della morte, dell’origine e della fine. Sanno del sale, delle trasparenze, delle luci mutanti, delle frescure, della forza e della pianificazione. Sanno i gorgoglii, le dilatazioni, le penetrazioni, le frantumazioni. Sanno l’eterno e il movimento perenne, il silenzio profondo, i vapori che salgono verso i confini rotondi, l’accoglienza infinita. Sanno che c’è tutto questo nel mare. Ed anche altro.
Ma non sanno ancora il perché della sua esistenza. Né mai avrebbero voglia di chiederselo, se non fossero imperfetti. Però ora non pensano a questo. Tuffati nelle onde, presi dall’acqua, all’unisono, con ampie bracciate, solcano sottilmente il fresco argento del mare. Dietro di loro una scia di minuscole bollicine bianche si allunga verso l’orizzonte. Appena più lontano, sulla collina, oltre il Bosco Azzurro, li segue con il suo sguardo attento Martin. Pare sollevato: il Recupero è finito e i nostri ragazzi “diversi” sono tranquilli. Ma come sempre continuerà a vigilare.
Martin sa che non dimenticherà mai. Sulle sue spalle peserà per sempre la colpa della sua distrazione, la sua unica, la sua grandissima distrazione. Quella porta doveva rimanere chiusa. Sapeva benissimo che questo era il suo compito. Aveva fatto di tutto per averne l’incarico, si era preparato a lungo per meritarlo. Questa era la missione che dava senso alla sua vita. Mai se n’era dimenticato, mai l’aveva sottovalutata: era l’eletto e sapeva che doveva esserne all’altezza.
Ma quel giorno ...
C’era nell’aria qualcosa di strano: come una voglia di ridere. Si respirava un desiderio non dico di trasgredire, ma sconfinare un po’. Come voler aprire la finestra per rinfrescare una stanza. C’era allegria attorno a lui e dentro di lui, come avessero tutti un po’ bevuto. Ma lui non beveva mai.
Martin allora aveva vent’anni. Un’età magica sempre, almeno gli pare di ricordare che anche per lui fu così. Aveva grandi sogni e quella è l’età dei sogni. Sentiva dentro il petto, il cuore gonfio, quasi fino a scoppiare, tanto immensa era la voglia di realizzare desideri, non un desiderio particolare, tutti i desideri immaginabili.
Pure era orgoglioso del suo incarico e attentissimo a rispettare le regole che aveva accettato.
Ma quella porta era lì, come a invitarlo a entrare. Tutte le altre erano ben chiuse e, benché ne avesse le chiavi, gli era facile resistere alla curiosità. Ma quella, con l’anta appena accostata, lasciata quasi per calcolo socchiusa, pareva chiamarlo.
Non resistette. Avanzò, appoggiò la mano sul battente della porta e sbirciò.
Dentro, l’altra parte di sé, da sempre imprigionata, che mai avrebbe sperato di ricongiungersi al sé nato, sobbalzò. Sapeva d’essere melma, mala radice, fogna, abisso, buio e negazione. Il suo sogno di vedere la luce era irrealizzabile. Però, pur senza uscire dalla sua stanza, com’era condannato a restare, finalmente riuscì a incontrare lo sguardo di Martin. Solo un attimo, e i suoi occhi e quelli del custode, unendosi, videro non tutto, ma molto di più di quanto era loro concesso.
Quando Martin scappò via, rifiutando la visione e chiudendo con forza la porta, ormai era rimasto inquinato.
Ma si convinse d’aver sognato, volle credere fosse stato sogno. E andò senza nessuna precauzione a custodire A e Zeta, gli ultimi generati in laboratorio della linea “cerchio/bianco”.
Fu questa la vera causa dell’imperfezione dei nostri ragazzi.
Martin non raccontò mai a nessuno la verità, avrebbe voluto cancellare con il silenzio ogni cosa.
Mai raccontò la verità, ma sapeva in cuor suo di aver cambiato per sempre il loro destino.
E mai dimenticò la sua colpa.
Intanto ora ...
A e Zeta, a guardarli, appena usciti dall’acqua, bagnati e con gli occhi languidi, direste proprio che hanno appena fatto l’amore. Stessi girando un film, li inquadrerei sempre in primo piano, quasi immobili come nelle foto. Punterei l’obiettivo sui loro occhi lucidi, sulle bocche semiaperte, sulle dita delle mani intrecciate. Infine sui piedi che vanno e sulle orme che ricamano il bagnasciuga. Naturalmente il sole sta tramontando e veste di dolci tonalità rosa la natura tutta ed anche le belle sagome sottili dei ragazzi che, allontanandosi, diventano sempre più piccole e infine scompaiono, ingoiate dal colore. Dal lato opposto della scena, rinvigoriti e purificati dopo il Recupero, arrivano cicalando i Perfetti, quelli che sono stati generati senza alcun errore.
Ogni volta Martin resta sorpreso da questo strano fenomeno, proprio non sa spiegarselo: sempre, quando tornano dal Recupero, i Perfetti hanno una gran voglia di parlare. Pure sanno tutti comunicare con la mente e comunque non hanno grandi vicende da raccontarsi. Continuamente cerca di orecchiare, ma non ne viene mai a capo. Dicono sempre le stesse cose da anni. I loro discorsi sono circolari, non vanno oltre un numero di quattro o cinque argomenti. Ma il gusto con il quale parlano è sempre fortissimo e inspiegabile. Certe volte pensa che le loro parole posseggano un codice segreto, ma non riesce a scoprire la chiave d’accesso per la loro comprensione. D’altra parte sa che non potrebbero mai, con la loro semplicità, realizzare un’operazione così complessa.
Però è molto incuriosito da questo loro parlare così simile a un’esercitazione verbale, quasi che i Perfetti stiano imparando a memoria qualcosa e si aiutino l’un l’altro per fissarla nella mente. Ma perché?
A e Zeta, da tempo, hanno tutto compreso.
Ma non sanno come comportarsi. Custodiscono il loro segreto nell’attesa di essere "illuminati", intanto si godono entrambi la loro vicinanza.
Ora si trovano dentro il bosco azzurro, sono penetrati fin dentro il suo cuore più nascosto, presso la grande fontana Blu, dove tutto ciò che chiedi appare e tutto ciò che è nebuloso, assume i suoi contorni e diventa comprensibile. Il bosco è magnifico in questa stagione estiva. Contrariamente al suo nome, il colore dei suoi alberi è di un verde profondo con appena dei riflessi blu, là dove il fogliame è più fitto e si stringe all’acqua, quasi per rubarle un colore che crede non suo. Ma il verde non sa di possederlo in sé e, inutilmente, si sente una ladra. L’acqua della fonte, invece, è consapevole di avere il dono della veggenza e di poterla riflettere negli occhi di chi in lei si specchia.
Elemento furbo l’acqua chiara che ci dona quello che già possediamo, ma che è negato al nostro sguardo diretto! E triste è la condanna che colpisce tutti gli uomini di tutti i tempi, che mai ci concede la nostra visione senza l’aiuto di uno specchio qualsiasi, né ci permette l’esposizione esatta dei nostri pensieri, perché li stravolgiamo esprimendoli!
Come la fonte contiene l’acqua e le dà forma, così le cose appaiono secondo gli argini dei luoghi e dei tempi che attraversano, e tutto è vero e reale, se visto con le coordinate giuste.
E lì, dove sono andati i ragazzi, accade proprio questo. A e Zeta consapevolmente vanno per accrescere il proprio sapere. Perché ne hanno  bisogno e si sentono pronti.
A e Zeta vogliono conoscere il passato, soprattutto quello dimenticato, senza testimonianze e mai scritto. Quello che il tempo, percorrendo la sua strada, ha smarrito in qualche sentiero.
Lei cerca l’ambra dorata, ne prende un piccolo pezzo perfettamente tondo e lo getta in acqua. I cerchi nascono dilatandosi dall’interno verso l’esterno, fino a raggiungerli entrambi. Ed è quasi canto quello che ne viene fuori e accompagna le visioni.
Zeta è felice della sua scelta, quasi non si sorprende della storia che va leggendo e vivendo.
Sì, perché loro la storia la studiano così: proiettandosi dentro le immagini del tempo scelto, di più, dentro la vita stessa dell’epoca da conoscere. Fino a sentirne i profumi, i sapori, il dolore.
La giovane pare immergersi in un passato per lei diventato presente. E’ più che conoscenza. Dimenticando la sua vera condizione, si sente nuovamente piccola, ed è lei la bimba che gioca all’aperto con gli animali di un tempo, che corre su e giù in mezzo alle colline in fiore. E’ lei che è guardata da cari occhi stanchi di familiari con il volto cotto dal sole. E intorno a lei la natura muta velocemente le stagioni e i colori cambiano con il medesimo ritmo del loro susseguirsi: nitidi e vivi come fossero attuali. Anche il lavoro nei campi varia: ecco l’autunno con l’aratura, la vendemmia di grappoli d’oro e d’ebano, la semina con dentro il cuore, l’attesa e la speranza del raccolto, la legna accatastata pensando all’inverno! E si accende di nuovo il camino, gli uomini si scaldano dentro la stalla, giocando a carte, ma le donne sonnolente, al calore della fiamma, cullano bimbi che saranno messi a letto, perché il giorno muore presto. Fuori la neve sfida il buio della notte. Poi torna la primavera e gli uomini e le donne si sparpagliano per i campi, tornati vitali insieme alla natura, e si affannano nei mille lavori che porteranno i frutti. Infine l’estate e il ciclo si compie, la natura si apre alla luce e al calore, il grano imbiondisce e i fiori cadono per lasciare posto ai frutti (immagina i frutti, immagina i fiori: la mia canzone!)
Ma i frutti, i fiori e gli animali portano il segno di una fatica ben più grave e reale di quella che si conosce nell’epoca della nostra storia.
Come sono più visibili i giocattoli di un bambino povero da quelli dell’altro ricco, perché ne sono pochi e sono stati attesi a lungo.
Anche i contadini, come i nostri ragazzi, parlano poco e sanno comunicare silenziosamente: questo è il dono che hanno ricevuto dai prati in fiore, dalle onde verdi e poi d’oro dei campi di grano, dai tronchi nodosi di querce antiche, dal bisogno di risparmiare il fiato, perché le giornate di lavoro sono lunghe e bisogna arrivare fino a sera.









CAPITOLO II

A sorride a Zeta intenerito ancora una volta dal suo gioioso modo di apprendere. Pensa: è sempre un piacere infinito osservarla, è così originale!
Poi si raccoglie intensamente – dammi la mano!- le chiede.
Zeta risponde al sorriso del ragazzo, gli tende la mano e stringe tra le sue, le dita dell’amico, quindi respira a lungo, profondamente, infine, si ferma e resta immobile, la sua espressione si fa assente, è come svuotata del suo io: ecco lo ha raggiunto. Sono un’unica cosa.
-Posso andare- pensa il nostro A - Zeta è con me!-
A non sa, dove trovare la sua pietra, ne vorrebbe una che non affondi del tutto, che galleggi un po’ fuori della superficie dell’acqua. La vorrebbe anche abbastanza grande da produrre larghi cerchi. Vorrebbe: ma ai ragazzi è dato inventarsi ciò di cui hanno bisogno e A non deve necessariamente accontentarsi. Allora il giovane si libera delicatamente dalla stretta di Zeta, raccoglie un largo sasso bianco screziato di rosso, che fa da gradino per scendere verso l’acqua, lo abbraccia e se lo porta ai piedi della grande quercia. Poi si allontana cercando. E’ agile il giovane A, è un cerbiatto pieno di grazia quando saltella, una scimmia un po’ acrobata se si arrampica sui rami torti e intrecciati, un’aquila dalla lunga vista se fissa da lontano l’oggetto desiderato e, d’improvviso, in picchiata, lo afferra. E breve è il tempo che gli serve. Eccolo, ha già trovato due grossi nidi e alcune liane robuste e arrotola il tutto attorno alla pietra scelta per renderla leggera come voleva. Ora che ha la sua esca, prima di buttarla, ritorna nella sua quiete, si concentra, l’alza quasi in offerta al cielo e, finalmente, la lascia cadere.
Un tonfo! Qualche spruzzo, come un tuffo mal riuscito, poi di nuovo i cerchi affiorano spumeggiando, si dilatano, diventano parole e immagini e, nel suo movimento, l’acqua s’infila tra i rami dei nidi e tra le liane e batte sulla roccia e ritorna alla fonte con meno vigore, placata, sbavando schiuma bianca.
Zeta si scuote stupita. E guarda.
Guardano insieme, i ragazzi. All’inizio credono di assistere a fuochi di artificio o magari a feste balorde, di quelle dove si cerca lo sballo.
Ma poi sentono crescere dentro sensazioni fortissime di dolore e angoscia mai provate. No, non è una festa!
A e Zeta hanno bisogno di abbracciarsi: è tremendo lo spettacolo che appare ai loro occhi e che finalmente iniziano a comprendere. Davanti  a loro, in tutta la sua potenza, c’è quella violenza di cui avevano spesso sentito narrare durante le lunghe notti invernali, quando si possono raccontare storie assurde, da brivido. Per vincere la noia delle ore grigie. Ma le credevano invenzioni .
Dal buio dell’acqua, resa torbida dall’improvviso moto ondoso, escono spruzzi di sangue e brandelli di carne, urla e lamenti strazianti che raggiungono il cielo . Volti feriti e corpi monchi s’intravedono tra lampi minacciosi di luce pesante e discontinua. Che non schiarisce la notte.
Volti di guerrieri, sì, ma anche di donne, di vecchi, di bimbi.
Gli occhi dei ragazzi si rifiutano di vedere, ma gli schizzi sono violenti e, se pure non li guardi, li senti sulla pelle inorridita, penetrano dentro i pori del corpo, feriscono la mente. E le grida sono coltellate dentro la testa. Quest’inferno vuole essere conosciuto.
Per la prima volta A e Zeta sono sconvolti da una paura tanto più travolgente, quanto inattesa. Si stringono forte. Non si accorgono nemmeno di avere il volto bagnato. Loro non sanno delle lacrime, dei brividi, del sudore gelato, dell’affanno, delle grida. Non sanno neanche dei baci caldi e della passione. Ma è un attimo, un incontrarsi l’un l’altro, una condivisione pura. E conoscono ogni cosa: il gelo e il calore, la distruzione e la moltiplicazione, l’odio e l’amore.
La tempesta si placa, rallenta sempre più,si rasserena ingoiando se stessa, torna alla fonte.
L’acqua, non più tormentata, si separa dalla melma e il fondale traspare e il verde di nuovo si rispecchia.
Qualche foglia che il turbine degli eventi ha staccato dalla quercia vicina, è rimasta in superficie e galleggia, finalmente in pace.
I ragazzi si sono trovati, ormai sono insieme. Né poteva accadere diversamente.
C’è un destino dentro le cose che lega i loro accadimenti. Anche se le cose sono ombre o sogni o pensieri.
Anche Martin lo sa e, dunque, inutilmente ha il cuore triste e si rammarica d’essere arrivato tardi.


                                                           CAPITOLO III

Davvero ormai non si può tornare indietro. Si può solo rimediare.                                                                                           Oh! Martin adora i suoi ragazzi, li ama più di ogni altra cosa. Li ama come non gli sarebbe permesso amare. Li ama tanto che non vorrebbe mai vederli soffrire. Per questo non può perdere tempo e deve darsi da fare. I fatti precipiteranno in fretta . Ha bisogno di pensare velocemente.                                                                                           Ma sa che tutto è già scritto, perché tutto è già accaduto, ed egli non ha il potere di annullare le cose stabilite.                                                                                                                                                                                         Però si ricorda della chiave, ha la chiave per trasformare gli eventi. Quando si avvicinò alla porta per guardare, l’aveva trovata predisposta a essere aperta. Il suo gesto fu simile ai riflessi dei neonati che nel sonno si stirano o sorridono. Non fu vera disobbedienza. I ragazzi invece hanno disubbidito gravemente. Sarà duro rimediare. Ma il suo senso di colpa pesa come macigno, come enorme palla di ferro, come un laccio attorno al cuore.                                                                                                                                                                         E tutto farebbe per liberarsene. I ragazzi hanno osato per la sua leggerezza, per il suo io che ha voluto avere soddisfazione, che sempre deve lottare per domarlo e mortificarlo. Una condanna! Martin non immagina che proprio per la forza del suo io è stato scelto come eletto.                                                                                                 Rimedierà, userà la chiave. Che gli importa di trasgredire? Deve salvare i suoi ragazzi.
A e Zeta nel frattempo si accarezzano, come si vedano per la prima volta.
Zeta: che sta succedendo?
A: non lo so, ma è bellissimo, e tremendo.
Martin se ne va senza farsi scorgere, lasciandoli alla loro intimità. I suoi passi sono pesanti come non mai e gli rendono il breve cammino da percorrere faticoso e lento.                                                                                                          Già scorge il grande cerchio, dove si affacciano le porte, ma se il suo sguardo va lontano, il resto del corpo fatica a seguirlo, come proceda a forza contro la sua volontà. Come gli accade in certi momenti particolari della sua vita, il nostro custode inizia a cantare una canzone, la sua canzone, la sua unica compagnia, l’antica ninna-nanna che qualcuno deve avergli cantato un infinito tempo fa.                                                                                                                                                                                   Perché anch’egli è stato bambino.                                                                                                                                                            Mai ha dimenticato le parole, mai la musica. Anche se la canta raramente, solo quando è sicurissimo di essere solo.                                                                                                                                                                                        Non gli è proibito, tuttavia la considera una sua debolezza .Da nascondere.                                                                                                  (Immagina i frutti, immagina i fiori, e la natura di mille colori, il vecchio cantava, il bimbo ascoltava …)
Il vecchio, solo un’immagine nella sua mente.
Ma gli è cara.
E’ da un po’ di tempo che non s’interroga più sul significato di questa visione. La figura di questo vecchio e la melodia della canzone che l’accompagna sono una presenza misteriosa nella sua mente. Ma cosa vogliono comunicargli?
Mi piaccion le storie, raccontane ancora ...
Sì, nonno, dimmi di quest’altra storia.
I ragazzi sanno il segreto dei Perfetti. Non conoscono le parole da usare per raccontarlo, per poterlo argomentare. Però sanno. L’essere diversi ha stimolato la loro capacità di capire. Li guardano complici e sorridono felici.
Hanno compreso, perché vanno oltre il suono delle parole.  Hanno osservato la luce nei volti dei loro amici, le loro espressioni.
Le strade percorse dalla loro mente sono più numerose di quelle in cui cammina Martin, anche meno dritte a brevi. Ma loro hanno tempo, tutto il tempo .E tutti gli strumenti che vogliono.
Lasciano i pensieri liberi di andare verso qualsiasi direzione. Così alla fine il vero li raggiunge.
Anche se poi non riescono a condividerlo, a comunicarlo.
Dopo i loro” viaggi “ vissuti presso la fonte, la loro conoscenza si è ampliata. Bisognerebbe renderne partecipe Martin : come fare?








CAPITOLO IV

Intanto Martin ha raggiunto il largo cerchio circondato dalle mille porte.
Si ferma, prende fiato un attimo, si guarda intorno attentamente ruotando su se stesso ad angolo giro, poi, prendendo coraggio, emozionato come chi gioca d’azzardo e sa che la posta in gioco è davvero alta, sceglie la sua porta e procede deciso.                                                                                                                                                        Sa che ha una sola possibilità di trasgredire, i suoi poteri gli resteranno solo fino a quando il suo tradimento non sarà scoperto. Ma non fallirà, non può fallire.
La mano pare gli voglia un po’ tremare quando si accinge a infilare la chiave nella toppa. Per questo si aiuta con l’altra che la ferma e la guida. Un giro, uno scatto.
I movimenti di Martin sono lenti e attenti. Non solo perché guidati dalla paura, ma quasi per il piacere di far assaporare ai suoi sensi ogni particolare di questo momento unico.
Appoggia entrambe le mani aperte sulla superficie della porta e la sente dura e pesante, allora fa forza sulle gambe, spinge con calma energica e vede che, gradatamente, allenta la sua resistenza e cede.
Ci siamo: si apre uno spiraglio.
Tra poco scorgerà uno dei mondi che gli sono preclusi.
Non può impedirsi di provare una gioia folle, frenata, come deve ,dalla sua razionalità. Questa sua felicità è una bestia in gabbia.
Perché Martin non agisce per sé. Sua guida non è la bramosia di conoscere, ma l’amore.
Però: perché non assaporare l’emozione che gli regala il superamento dei confini?
Almeno una volta!
Ed è come aver bevuto.
Ma gli occhi di Martin sono spalancati e delusi. Niente è come aveva immaginato.
Non si rassegna. Vuole aspettare prima di dare giudizi, vuole entrare e guardare bene questo posto. Ha bisogno di viverlo.
Si fa spazio spingendo ancora la porta, poi s’introduce e chiude il suo mondo alle spalle.
Avanzando, invano cerca qualcosa . E’ triste e sorpreso: c’è solo vuoto e grigio.
Mancano i colori del cielo, dell’acqua, delle foglie e dei fiori.
Però c’è la musica. A ogni movimento del nostro custode corrisponde una musica viva che si modula assecondando le sue sensazioni e le sue emozioni. Forse il senso è in una comunicazione diversa, forse bisogna usare strumenti non legati alle immagini per capire.
Improvvisamente comprende! Non c’è altro che lui in questo mondo!
 Ingoia l’amaro! Ha trasgredito per niente, per ascoltare nient’altro che sé e il suono che produce camminando. Tra tante porte che poteva aprire,ha scelto quella che conduce al vuoto, a un mondo senza vita .Qui solo l’eco della sua presenza si spande a banchi come nebbia , seguendo l’andamento dei suoi passi. Un’eco infinita che si perde lontano. Ma mai zittisce.
Allora pensa ai suoi ragazzi innamorati l’uno dell’altro e del mondo intero. Pure il suo cuore è pieno d’amore, per loro darebbe la vita .E la vita lentamente appare e canta. Il grigio quasi in sordina si ritira sgonfiandosi, la nebbia cede il suo posto a un crescendo di colori che da timidi prendono sempre più vigore e allegria. La musica che li accompagna lascia lentamente la sua eco per vivere di vita propria, sempre più gioiosa. Ed è una girandola festosa, una tarantella popolare, un valzer romantico, un tango argentino, una risata di sposa sul letto d’amore, un lungo pianto liberatorio come pioggia su una terra inaridita.
Sì, ora è davvero un’ubriacatura in un banchetto di festa. Ed è Martin la festa, com’era Martin il vuoto.
Il nostro custode, per un attimo,solo per un attimo, si lascia andare alla felicità. L’assapora.
Io vado via,lo lascio godere.
               






CAPITOLO V

A e Zeta ,  si stanno amando vicino alla fonte, lì in mezzo al Bosco Azzurro. E mille sono i baci e ancor di più le carezze. Anche se i Perfetti hanno conservato qualche sensibilità emotiva,solo i nostri ragazzi possono provare questa gioia. Forse lo hanno sempre saputo:ma ora! Di zucchero e miele ha il sapore del loro corpo .
 Andiamo via. Lasciamo soli anche loro. Torniamo ai Perfetti e al loro chiacchierare.
 I ragazzi hanno capito da tempo: i Perfetti parlano e parlano girando e rivoltando le poche cose da dire pensando di vincere la noia, ma è il bisogno di conservare in vita la loro capacità emotiva che li spinge, la voglia inconscia e tuttavia irrinunciabile di mantenersi individui pensanti. Dicono e dicono le loro piccole cose, che riguardano il “loro” mondo, la loro unicità. E si commuovono, ridono, alzano un po’ la voce, a volte addirittura cantano e ,queste emozioni , sono la loro salvezza.                                                                                                      A e Zeta hanno invece grande cuore e grande testa: la loro diversità è dovuta allo sguardo impuro di Martin, quando è andato a custodirli. Non può non lasciare una traccia, un mondo negli occhi, l’immagine vista oltre una porta che sarebbe dovuta restare inviolata.                                                                                                                             Anche nella mente di A e Zeta si è aperta una porta che è rimasta invece chiusa per i Perfetti : quella che conduce alla maledizione del dubbio, alla voglia di sperimentare con il corpo e con l’intelletto. Ma,insieme al dono del dubbio, hanno avuto in regalo anche la capacità d’inventare, di creare. Non sapevano di averla, l’hanno scoperto alla fonte. In modo doloroso,ma l’hanno appreso. E ora sono completi. Completi e dannati.                                                                                                                                                                  Di questo Martin ha paura.
Ecco i nostri ragazzi, camminano tenendosi per mano . Hanno voglia di sole.
A: vieni! Andiamo!
Zeta: corri!
Veloci e leggeri ,sembrano volare mentre attraversano il bosco e brevemente escono di nuovo alla luce e al mare. I loro occhi hanno lo sguardo dolce quando li posano di nuovo sui Perfetti che, sulla spiaggia, ancora passeggiando, continuano senza segno di stanchezza a raccontarsi e raccontarsi e raccontarsi.

                                                  CAPITOLO VI

Martin deve sbrigarsi, tra un po’ la porta scomparirà. Deve prendere la chiave. Sì , la chiave.
Arriva all’uscio trafelato, l’oltrepassa, tira a sé la porta ,gira la chiave e la sfila frettolosamente correndo via come il vento. Corre Martin, corre oltre il cerchio, dove si affacciano tutte le porte, oltre il prato. Poi, giunto alla collina ,si gira e si ferma un attimo ,giusto per guardare svanire l’ingresso che sbiadisce acquistando trasparenza.
Ora ha una chiave che l’ha condotto a un mondo che si colora con il sentimento d’amore e altre che restano misteriose. Loro possono condurre al potere, quel potere che salverà i ragazzi.
No, Martin non vuole che i suoi ragazzi siano dannati. Preferirebbe essere dannato lui stesso per sempre, per  l’eternità.
Questa parola gli dà i brividi .
Li salverà.
Deve andare, dovrà raggiungere i suoi ragazzi, dovrà spiegare,raccontare.
Insieme troveranno una strada.
E riprende la sua folle corsa ,anticipando nella sua testa il suo discorso.









                                              CAPITOLO  VII


Martin arriva sulla spiaggia con il fiato grosso .                                                                                                                                                              Già scorge i ragazzi: ridono felici correndo, ma la loro corsa è un’atra.
Vorrebbe non turbare la loro gioia, ma non può permetterselo. Li chiama disperato già prima di avvicinarsi. E li vede venirgli incontro velocemente, con grazia. Più sorpresi che ansiosi per il comportamento del custode. Ora che però sono vicini si fanno seri. Tutti e tre hanno bisogno di sedersi. Martin soprattutto. E’ una sera fresca, c’è una leggera brezza che rincuora. Il custode unisce le sue mani a quelle di A e di Zeta  , vorrebbe trasmettere loro un po’ del suo coraggio. Poi, cercando di esprimersi con calma e chiarezza, dice ogni cosa. Racconta della sua colpa, della loro diversità, delle porte, del suo fallimento, della perdita dei poteri, del pericolo, della necessità di fuggire, del suo amore! Sì, del suo grande amore per loro.
Ormai lo può dire, vorrebbe anche urlarlo, se potesse.
Ma A e Zeta restano tranquilli. Martin è stupito, non avrebbe mai immaginato questa reazione.
Come fare? Non ha più molto tempo per spiegare. Il suo tempo sta finendo.
E’ sconvolto.
Non capiscono – si dice – saranno distrutti!
-Devono capire, o saranno distrutti, non posso rassegnarmi-
Ma A e Zeta  sanno le cose, le conoscono meglio di Martin.
Sono loro che adesso devono dire. E chiedono a Martin di ascoltare.
A: non ci sono.
Martin: chi? A chi ti riferisci?
Zeta:  a tutti, Martin. Tu non stai perdendo nessun potere.
Martin: vi state prendendo  gioco di me. E’ crudele.
A: non è un gioco. Se lo è, si tratta di un gioco molto serio. Non c’è nessuno che ti può togliere i poteri , perché non c’è nessuno che te li ha dati.
Ci sei solo tu Martin.
Zeta  : e non ci siamo neanche noi,eri solo, avevi dentro tanto amore e ci hai partorito. Per amore. Tu ci hai inventato per questo.
A e Zeta non hanno mai parlato tanto, ma devono ancora dire. Martin ingoia lacrime incredulo.
Martin: e i Perfetti?
Zeta : I Perfetti sono come noi, ombre nel sogno. E così il Bosco Azzurro, la fonte, il cerchio, le porte. La tua solitudine è Perfetta. Non ci sei che tu e il tuo potere rimane intatto. E’ l’amore caro Martin il tuo vero potere, il tuo amore che ci ha voluto.
Martin: allora sono solo?
A: dipende da te.
Martin crede d’impazzire, non vorrebbe fare più domande perché non sa immaginare più risposte. Nulla è cambiato, pure ogni cosa gli appare tremendamente diversa. E’ solo con il suo mondo che contiene tutti i mondi e tutto è compreso dentro il niente e tutto accade senza cambiare niente. Solo! Sì, solo. Ma quante emozioni! Cosa sono tutte queste emozioni? Cosa sono ,dunque? Niente?
No, Martin non si rassegna. Sa che il Tempo siede sul suo trono e dice parole come: sempre, mai, domani, oggi, ieri, morte, vita. E allora si dice che può. Può far finta di niente e continuare.
Salverà i suoi ragazzi, li renderà intoccabili cedendo loro il suo posto, darà loro tutte le chiavi.
Saranno bravi custodi, chi meglio di loro?  Conoscono bene i Perfetti,sanno vedere le cose con occhi giusti.
Sì, saranno i nuovi custodi, i nuovi eletti.
E poiché ogni cosa è stata generata dalla sua mente, ora deve scomparire. Deve tagliare il cordone ombelicale e lasciar vivere i protagonisti della storia.
Senza indugiare si allontana dalla spiaggia, dal mare e dal sole. Entra nel bosco, va verso la fonte. Che pare attenderlo.
Io lo saluto il mio Martin  e non gli sto a dire che un giorno, ascoltando una canzone, dentro un ufficio/magazzino, siccome non c’erano clienti e mi annoiavo un po’,ho inventato una storia: l’ho inventato.
Ma la canzone di Guccini resta:
Immagina i frutti, immagina,i fiori, e la natura di mille colori …
E, per me, resti anche tu Martin, il custode dei miei personaggi.















LETTERA A MARTIN
Mio caro Martin
Questa mia lettera non ti sarà mai consegnata. La scrivo per me, un po’ anche per la mia storia. Che poi è la tua storia. Quando tu sei andato via, niente di quello che credevi accadesse si è avverato. Con quale cuore potrei fartelo sapere? Ti ricordi del tuo atto generoso di rinuncia in favore dei ragazzi che amavi tanto? Bé, lo hai fatto inutilmente. La fonte era l’ultima porta, la principale: l’avresti mai creduto? Quella porta faceva da ponte con tutti i mondi possibili. Ingoiando te, ha poi fatto sparire la grande quercia,il bosco azzurro,i Perfetti, le porte tutte ,e,infine, anche i nostri ragazzi. Le ombre sono tornate con le ombre,nel loro mondo senza tempo. Per sempre ricongiunte con te. La mia vita invece è andata cambiando: in bene e in male. Ah! Non lavoro più in quell’ufficio /magazzino: Vedi?La stabilità è una caratteristica solo delle ombre che non sono e, proprio per questo, non si modificano. Bisognerebbe tenerne conto quando si costruiscono i fantasmi. Bisogna seguire un’etica. Perché se io sono reale e le mie ferite sanguinano e la mia voce si sente e il mio respiro è caldo e se dò baci sento il contatto e se guardo i miei occhi si riempiono del mondo, io sono reale solo ora, in questo momento, ed è un momento che non ha spessore, talmente sottile che non si può misurare e la mia realtà è in così gran movimento che fugge l’esistenza. Ma i fantasmi che posso immaginare non sono e quindi non possono andare via, resistono ad ogni tempo, resistono al tempo stesso. Come i personaggi della mia storia che non esiste. Che però non esiste solo fino ad un certo punto. Perché accade come quando si sogna e le cose sognate sono ombre, ma le ombre siamo noi riflessi in mille specchi, e noi siamo i fantasmi che hanno preso vita, noi siamo i mostri e le belle visioni, nostra è la paura, nostra la gioia.
Penso che tornerò presto da te, nel tuo mondo. Adesso solo questo mi dà pace e senso. Quello che mi sconcerta è che anche le mie emozioni scaturiscono dalle ombre e non capisco come riescano a partorire sensazioni così reali.
Dov’è l’errore? Perché le ombre non solo interagiscono con la vita reale, ma a volte si combinano tra loro ingigantendosi e tornano di nuovo a noi come una tormenta? Sapresti dirmelo? No, non ti cercherò per avere una risposta.
 Verrò da te perché amo la fantasia. Ti chiederò ancora di custodire i miei personaggi. Tienili con te.

6 commenti:

  1. la lettera a Martin è stata pubblicata, insieme all'altra succesiva,sulla rivista " POETI E POESIA" di Elio Pecora

    RispondiElimina
  2. Risposte
    1. grazie Serenella... leggo solo ora il tuo commento, mentre sto riguardando un po' di cose, di nuovo grazie!

      Elimina
  3. La stabilità è una caratteristica solo delle ombre che non sono e, proprio per questo, non si modificano. Bisognerebbe tenerne conto quando si costruiscono i fantasmi. Bisogna seguire un’etica. Perché se io sono reale e le mie ferite sanguinano e la mia voce si sente e il mio respiro è caldo e se dò baci sento il contatto e se guardo i miei occhi si riempiono del mondo, io sono reale solo ora, in questo momento, ed è un momento che non ha spessore, talmente sottile che non si può misurare e la mia realtà è in così gran movimento che fugge l’esistenza. Ma i fantasmi che posso immaginare non sono e quindi non possono andare via, resistono ad ogni tempo, resistono al tempo stesso. Come i personaggi della mia storia che non esiste. Che però non esiste solo fino ad un certo punto. Perché accade come quando si sogna e le cose sognate sono ombre, ma le ombre siamo noi riflessi in mille specchi, e noi siamo i fantasmi che hanno preso vita, noi siamo i mostri e le belle visioni, nostra è la paura, nostra la gioia.

    RispondiElimina